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Strutture per anziani, la stretta della Regione: cambiare la norma nazionale per evitare aperture facili di case famiglia, altrimenti legge regionale entro l’estate

Oltre 1.200 strutture, per quasi 28mila posti. È il sistema dedicato all’assistenza socio-sanitaria e socio-assistenziale di persone anziane e con disabilità in Emilia-Romagna: 980 strutture per gli anziani (19.600 posti) e più di 250 per le persone con disabilità (8.200 posti) fra case residenza, centri diurni, case di riposo e comunità alloggio. Realtà pubbliche, private accreditate o private autorizzate, il che significa che tutte, prima di poter aprire, devono essere appunto valutate e autorizzate. Una galassia sostenuta in gran parte con il Fondo regionale per la non autosufficienza, strumento unico in Italia, portato nel 2018 a oltre 441 milioni di euro dalla Regione (6 in più rispetto al 2017, si arriva a superare i 480 milioni sommando le risorse del Fondo nazionale) e che da solo eguaglia la cifra stanziata a livello statale per tutto il Paese.

È questo lo sforzo che la Regione Emilia-Romagna dedica al cruciale tema dei servizi residenziali per la non autosufficienza, investendo sulla quantità e soprattutto sulla qualità delle prestazioni. A questo si aggiungono poi 505 case famiglia (398 per anziani e 107 per persone con disabilità), piccole strutture totalmente private che possono ospitare fino a un massimo di 6 persone e che per avviare l’attività è sufficiente che presentino una Scia (Segnalazione certificata di inizio attività) ai Comuni, così come prevede l’attuale normativa nazionale, senza alcuna autorizzazione preventiva al funzionamento. Si tratta dunque di un ambito diverso e distinto di servizi, totalmente privati, rivolto a persone autosufficienti o non autosufficienti di grado lieve. Ciò non toglie la loro importanza per una società che ha visto nel tempo aumentare costantemente l’aspettativa di vita, ridursi la dimensione dei nuclei familiari e, con essa, la capacità delle famiglie di accudire con continuità le persone anziane.

Ma è proprio questo valore sociale a rendere necessario un percorso di qualificazione di questi servizi privati affinché non si determinino situazioni irregolari e, nei casi limite, di vera e propria illegalità. È necessario rafforzare gli elementi di prevenzione attraverso regole più stringenti di autorizzazione al funzionamento (oggi assenti), di innalzamento della qualità e delle professionalità coinvolte, di coinvolgimento delle famiglie e di tutti gli attori sociali che possono concorrere alla qualità e alla vigilanza (a partire dai medici di medicina generale), per arrivare a forme più stringenti e sistematiche di controllo. E proprio per rafforzare i controlli su tutte queste strutture, ma soprattutto allargare il perimetro “pubblico” alle case famiglia, sottoponendole ai requisiti di qualità delle altre e prevedendo anche per loro verifiche preventive e quindi il rilascio dell’autorizzazione ad aprire, la Regione ha individuato una serie di misure che intende adottare.

A partire dalla richiesta di cambiare tempestivamente la norma nazionale, che ora permette con troppa facilità l’apertura di case famiglia, introducendo verifiche preventive e condizioni di maggior garanzia prima del rilascio della concessione dell’autorizzazione. Già oggi il presidente Bonaccini, come annunciato in conferenza stampa, invierà una lettera ai ministeri competenti, per poi porre il tema in sede di Conferenza delle Regioni. Se non dovesse essere modificata la normativa nazionale, entro l’estate la Giunta proporrà all’Assemblea di procedere con una propria legge regionale. Ma la Regione intende comunque agire subito per adottare provvedimenti più stringenti.

La prima stretta sarà quella sui controlli. Si tratta in realtà di un’attività già avviata, in collaborazione con i Comuni, ma che ora la Regione intende ulteriormente intensificare. Nel 2017 sulle strutture pubbliche e private, accreditate e autorizzate, sono stati realizzati quasi 400 controlli. Sulle case famiglie, le verifiche sono state 263 (il 52%), oltre la soglia obiettivo fissata del 50%. Controlli che si sono focalizzati maggiormente su quelle per anziani, per le quali la percentuale è salita al 58% (233 esaminate). La Regione intende alzare la soglia attuale di controlli in almeno il 50% di queste strutture aggiungendo un 10% di controlli ulteriori, sempre fuori calendario e a sorpresa, anche ravvicinati rispetto agli ultimi fatti, verificando comunque tutte le strutture almeno una volta nell’arco dell’anno, già nel 2019. Per questo, verrà istituito un gruppo dedicato (task force) coordinato dall’assessorato regionale che veda la presenza di Ausl, Comuni, sindacati, associazioni di volontariato o comunque sigle del settore. I maggiori controlli riguarderanno anche i requisiti professionali e i contratti di lavoro applicati al personale impiegato.

Posto che la competenza primaria in materia di controlli, e quindi la concreta attivazione degli stessi, compete ai Comuni, la Regione è ben consapevole della complessità e dello sforzo che questo comporta, in particolare per i più piccoli e i loro corpi di Polizia municipale, dove non sempre sono presenti figure specializzate per questo tipo di attività.Per questa ragione intende sostenere i Comuni stanziando già a partire da quest’anno tutte le risorse specifiche e aggiuntive necessarie tanto per la formazione professionale degli agenti quanto per sostenere la collaborazione tra Comuni, in particolare tra quelli più grandi e quelli più piccoli. Fondi che saranno quantificati direttamente insieme ai Comuni.

La seconda stretta sarà quella sui requisiti: d’intesa con Anci Emilia-Romagna, si prevede il recepimento nei regolamenti comunali di quei requisiti di qualità facoltativi – già oggi molto avanzati rispetto al panorama nazionale e previsti nelle Linee guida regionali definite nel luglio 2018 con Comuni, sindacati, familiari ed esperti – che ora diverranno invece requisiti obbligatori, in particolare:

a)    verifiche prima dell’apertura: comunicazione preventiva e disponibilità al controllo della struttura prima della sua apertura;

b)    spazi adeguati oltre che, naturalmente, a norma;

c)    personale qualificato: disporre di personale adeguatamente formato;

d)    attività: organizzazione strutturata di attività di animazione, motorie, gite e uscite, con la presenza di un ‘diario di bordo’ dove vengano annotati ogni giorno le attività e gli eventi accaduti;

e)    requisiti di moralità.

La terza stretta sarà sull’apertura e la partecipazione. Si prevede in particolare di rendere obbligatoria l’apertura delle strutture non solo a parenti e conoscenti, come già ora previsto, ma anche ad associazioni di volontariato del territorio o accreditate presso i Comuni e alle organizzazioni sindacali.

“Gli episodi di violenza e abusi ai danni di persone anziane, all’interno di strutture dove dovrebbero essere invece protetti e accuditi, sono ignobili e inaccettabili e i responsabili devono essere perseguiti- affermano il presidente della Regione, Stefano Bonaccini, e l’assessore regionale alle Politiche per la salute, Sergio Venturi-. D’intesa con i Comuni e i sindacati abbiamo fatto il possibile per introdurre requisiti di qualità e sicurezza, ma ancora non basta. Episodi deprecabili quale quello di San Benedetto Val di Sambro emergono grazie a strumenti di indagine che sono delle forze di polizia, a cui va il nostro grazie per il lavoro che fanno. Senza la pretesa che le misure a cui pensiamo rappresentino un antidoto diretto e assoluto a fenomeni criminali è tuttavia possibile fare meglio e di più. Così come è chiaro che sia necessario cambiare la normativa nazionale, ponendo fine alle facili aperture di case famiglie, introducendo controlli preventivi e solo dopo, eventualmente, concedere le autorizzazioni. Nuove norme che potremmo adottare qui, in Emilia-Romagna, in tempi rapidi, anche approvando una nostra legge regionale se proseguirà l’inerzia del legislatore nazionale. Deve essere altrettanto chiaro che gli episodi di abusi e violenze di cui leggiamo questi giorni difficilmente possono emergere durante i controlli dei Comuni o delle strutture sanitarie, non avendo poteri di polizia giudiziaria, e quindi gli strumenti necessari a indagini che peraltro non ci competono. Ciò non toglie che i controlli dei Comuni siano necessari e molto importanti: controlli che comunque in Emilia-Romagna vengono fatti regolarmente, e che ora vogliamo aumentare, perché su questo serve un’ulteriore stretta. Così come intendiamo agire sul fronte della prevenzione, rendendo obbligatori requisiti più stringenti su spazi, strutture e personale. Però è giusto fare chiarezza: perché qui, in Emilia-Romagna, il pubblico funziona bene: non solo quando opera direttamente, ma anche quando lo fa in regime di accreditamento. Forti di questa consapevolezza, vogliamo continuare ad allargare questa qualità e dimensione ‘pubblica’, per quanto legittimo e possibile, anche al privato tout court che opera fuori dal nostro regime. Questo, purtroppo, non elimina i delinquenti- chiudono Bonaccini e Venturi- ma la qualità del servizio e del lavoro, delle strutture e dei controlli, della partecipazione delle famiglie e dei medici di famiglia è l’antidoto migliore per prevenire, monitorare, correggere”.

















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