In Emilia-Romagna, nel 2016, sono state quasi 16 mila le persone povere che si sono rivolte alla Caritas per cercare aiuto. Soprattutto uomini: separati o divorziati, disoccupati, con un livello di istruzione basso e senza fissa dimora.
Lo rivela “Medaglie spezzate. I poveri in Emilia-Romagna”,il consueto rapporto che la Caritas Emilia-Romagna dedica alla regione, fotografando la condizione economica dei cittadini che si rivolgono alle diocesi del territorio. Un’analisi condotta per il settimo anno consecutivo, sulla base delle informazioni fornite dagli sportelli dei Centri di ascolto delle singole diocesi. Per la prima volta, quest’anno il rapporto ha analizzato retrospettivamente i dati sull’impoverimento, in un arco temporale compreso tra il 2004 e il 2016.
Alla presentazione della ricerca, oggi a Bologna all’Istituto Veritatis Splendor, è intervenuta anche la vicepresidente della Regione e assessore al Welfare, Elisabetta Gualmini, in un confronto sul tema ‘Istituzioni e Chiesa’ con l’arcivescovo, monsignor Matteo Maria Zuppi.
“Stiamo costruendo un nuovo pilastro del welfare state regionale, insieme ai tanti soggetti impegnati nel sociale come bene comune, tra cui la Caritas, che svolge un ruolo cruciale e indispensabile per la difesa dei più deboli- ha sottolineato Gualmini-. La povertà esiste, purtroppo. E’ necessario, che i servizi pubblici e gli sportelli delle associazioni lavorino insieme per dare risposte efficaci alle persone che si presentano. Il reddito di solidarietà, gli strumenti nazionali e tutte le iniziative della Caritas- ha aggiunto la vicepresidente- stanno procedendo insieme, anche secondo un recente protocollo appena siglato, verso il recupero per tutti dei diritti sociali, alla base della nostra cittadinanza”.
Dalla fotografia della Caritas emerge che coloro che si rivolgono agli sportelli delle diocesi vivono una condizione di grave deprivazione materiale e sono socialmente isolati. Aumentano i casi di persone che si trovano a vivere per strada perché hanno divorziato, non riescono più a pagare l’affitto di casa, oppure, nel caso degli stranieri, hanno lasciato la famiglia nei propri Paesi di origine. Per quanto riguarda l’età, la fascia più numerosa è quella che va dai 35 ai 64 anni, con un evidente incremento nel tempo – dal 69% nel 2004 al 79,8% nel 2016 – dei giovani tra 18 e 34 anni.
Fanno da contesto all’analisi della Caritas i dati del Servizio statistico della Regione relativi all’impoverimento: nel 2016 in Emilia-Romagna le persone che vivevano in condizioni di povertà relativa (calcolata in base ai consumi) erano oltre 200 mila, il 4,5% del totale di quelle residenti in regione. Nel 2014 invece (dato più recente) gli emiliano-romagnoli in condizioni di povertà assoluta (calcolata sul reddito), quindi non in grado di acquistare beni e servizi essenziali per uno standard di vita minimo, erano oltre 190 mila, pari al 4,3% dei residenti.
E proprio per contrastare la povertà, la Regione ha pensato e realizzato una forma concreta di sostegno ai più deboli: il Reddito di solidarietà – a cui sono destinati 35 milioni di risorse regionali- che rafforza, ampliando la platea dei beneficiari, la misura nazionale del Sostegno all’inclusione attiva (Sia), per cui lo Stato ha destinato all’Emilia-Romagna 37 milioni. Mentre il Sia si rivolge prioritariamente alle famiglie con figli minori, l’intervento regionale può essere richiesto da tutti i nuclei familiari, anche unipersonali. In entrambi i casi la domanda va presentata agli Sportelli sociali dei Comuni e il limite Isee fissato è lo stesso, 3.000 euro.
In Emilia-Romagna l’applicazione delle misure Sia e Res si inserisce in un contesto recentemente rinnovato dalla legge 14 del 2015 (“Disciplina a sostegno dell’inserimento lavorativo e dell’inclusione sociale delle persone in condizione di fragilità e vulnerabilità”), che mette in campo nuove modalità e nuovi strumenti di lavoro per l’inserimento lavorativo delle persone fragili.