Dopo una pausa forzata, innescata dal DGR 547 del 23 aprile 2014 nel quale la regione ha sospeso l’espressione di pareri e valutazioni “tesi a consentire lo svolgimento sul territorio di nuove attività di ricerca, prospezione, coltivazione e stoccaggio di idrocarburi” a seguito del sisma del 2012, è ricominciata la corsa alla ricerca di gas e petrolio in regione. La revoca della sospensione risale al 13 luglio 2015 (DGR 903/2015), a far seguito della quale sono ripartite le autorizzazioni di prospezione e ricerca, attività propedeutiche a nuove estrazioni.
Dal sito del ministero dello sviluppo economico risultano 31 i permessi di ricerca su terra ferma vigenti in Emilia-Romagna. Su 6 di essi è stata già presentata istanza di perforazione del pozzo esplorativo, su 3 è stata presentata istanza di coltivazione mentre su 9 è stata presentata istanza di rinuncia.
Alle 31 attività già in corso vanno aggiunte 9 nuove istanze di permesso di ricerca (Brola, Castiglione di Cervia, Fiorenzuola D’Arda, Fontevivo, La Risorta, La Stefanina, Reno Centese, San Patrizio, Zanza), 7 delle quali in fase di Valutazione di Impatto Ambientale.
Rigettando da subito le nuove istanze di permesso di ricerca, l’Emilia-Romagna darebbe le gambe a quanto indicato nel Piano energetico Regionale, che punta all’obiettivo “100% rinnovabili” al 2050, ed ai contenuti del Piano Aria che fissa l’obiettivo al 2020 di ridurre all’1% la popolazione esposta all’inquinamento atmosferico.
Diversamente, se venissero approvate le nuove istanze di permesso di ricerca, si seguirebbe nella pratica una direzione completamente opposta a quanto indicato nei piani. Le amministrazioni, dal livello regionale a quello locale, dimostrerebbero per l’ennesima volta di utilizzare il concetto di sostenibilità solo nei piani, superati però nel quotidiano da logiche economiche ferme al ventesimo secolo.
“Rigettare le istanze di ricerca idrocarburi da subito – sottolinea Legambiente – significherebbe porsi in prima linea nel raggiungimento degli obiettivi fissati dagli accordi internazionali, per il contenimento dell’innalzamento della temperatura globale entro gli 1,5 gradi.”
Dai dati contenuti nell’edizione 2017 dell’Atlante Climatico dell’Emilia-Romagna di Arpae, emerge chiaramente che il problema del riscaldamento globale tocca direttamente anche la nostra regione: le temperature medie regionali nel periodo 1991-2015 sono aumentate di 1,1 °C (+1,4 °C le massime, +0,8 °C le minime) rispetto al periodo 1961-1990. Allo stesso tempo le precipitazioni annuali sono diminuite di 22 mm (-2%) ma con notevoli cambiamenti stagionali (estati più aride e autunni più piovosi).
Tra i capoluoghi dell’Emilia-Romagna, le due città in cui si è osservato un aumento maggiore delle temperature medie annuali sono Reggio Emilia (+1,6 °C) e Modena (+1,4 °C).
“Serve spingere con forza sull’acceleratore della sostenibilità – continua Legambiente – investendo su rinnovabili, efficienza energetica, mobilità sostenibile e riqualificazione urbana, ed abbandonare l’era della fonti fossili nel più breve tempo possibile. Un strategia che metterebbe al centro la valorizzazione delle bellezze artistiche e naturali del territorio oltre che della produzione agricola, vera fonte di reddito e ricchezza per la Food Valley d’Italia”.