«Leggiamo le linee programmatiche per il mandato 2016-2021 del Comune di Bologna, definite “idee e valori per Bologna”» afferma il Presidente provinciale delle Acli di Bologna, Filippo Diaco. «Ci troviamo sostanzialmente in linea con quanto espresso nel documento, soprattutto per quanto riguarda l’idea di welfare comunitario, i temi dell’accoglienza, dell’inclusione sociale, del lavoro, dal momento che rispecchiano quanto auspicato nel “manifesto” che abbiamo consegnato ai candidati a sindaco e alla Città nel maggio scorso», prosegue Diaco. «Tuttavia, riteniamo che le marginali e generiche citazioni dedicate alla famiglia siano davvero insufficienti. Se non si riconosce il valore sociale della famiglia come cellula primaria delle società civile, mancano le fondamenta di tutta la struttura» osserva Diaco. «Durante il nostro incontro con il Sindaco Merola, da candidato, ci eravamo premurati di insistere su questo aspetto, anche alla luce del valore economico, non solo sociale, di quella parte di welfare e di assistenza che grava sulle famiglie. Si pensi a coloro che si fanno carico di un familiare disabile: nel documento vi è solo un breve e del tutto insufficiente accenno al tema della disabilità e al ruolo dei caregivers familiari. Ancora una volta, inoltre, non sono previste forme di sostegno, neppure economico, delle famiglie che si vedono costrette a ricorrere ad una assistente familiare per accudire un congiunto», prosegue Diaco. «Ci auguriamo che nei prossimi 5 anni di governo cittadino vengano adottati dei correttivi per sopperire, anche con il sostegno del terzo settore, a questa mancanza di attenzione». «Inoltre», continua Diaco, «c’è un punto che ci preoccupa fortemente. Riteniamo che la Giunta debba chiarire meglio cosa si intende, al capitolo “Bologna città dei diritti”, con, cito: “Bologna è una città che ha una forte tradizione di tutela dei diritti della comunità LGBTI e un’immagine di città accogliente in cui ogni cittadina e cittadino può vivere liberamente la propria identità e il proprio orientamento sessuale. I progressi della normativa nazionale saranno di ulteriore stimolo per l’individuazione dei nuovi bisogni della comunità LGBTI e di politiche attive per evitare ogni discriminazione. Tutti questi obiettivi saranno raggiunti ponendo in essere azioni di forte impatto culturale, soprattutto in ambito scolastico ed educativo, dirette ai giovani e agli adolescenti, da attuare su tutto il territorio comunale con il coinvolgimento e la partecipazione di tutti i settori dell’Amministrazione comunale”». «Vorremmo capire» prosegue Diaco «se anche altre Associazioni, oltre a quelle LGBTI, verranno coinvolte nella scelta dei programmi educativi da sottoporre alle classi». «Ci auguriamo, inoltre, che tali programmi siano facoltativi e che a nessuna famiglia sia imposto di far seguire ai propri figli l’educazione sessuale come materia scolastica. In un campo così delicato, non vorremmo che i bambini si trovassero di fronte a dubbi e quesiti inadatti alla loro età e al loro sviluppo. È necessario che le famiglie siano informate su docenti, programmi, materiale utilizzato e possano decidere se far partecipare i figli o meno. Non si tratta di insegnare a far di conto: riteniamo che l’educazione sessuale, senza un’educazione sentimentale, sia inutile, anzi dannosa. Le statistiche ci dicono» prosegue Diaco «che nei paesi in cui si insegna fin dalle scuola dell’infanzia la “meccanica dell’amore”, senza un adeguato supporto educativo, sono quelli in cui si verificano più reati di violenza, maternità precoci, aborti, abbandoni. Per questo, ci chiediamo se solo le associazioni orientate alla tutela dei diritti LGBTI saranno ammesse nelle scuole o se ci sarà spazio anche per altre realtà. Cosa succederebbe» aggiunge Diaco «se alcune associazioni andassero nelle scuole a predicare la castità prematrimoniale e i metodi di contraccezione naturali? Avremmo un’alzata di scudi da parte delle famiglie che non condividono questo approccio. Dunque, ci aspettiamo, quantomeno, lo stesso trattamento, rispettoso delle differenze di opinione, anche per quelle famiglie che non ritengono che l’educazione sessuale dei propri figli debba essere delegata ad altri». A tutela delle diverse opinioni, «le Acli di Bologna hanno deciso di rifare la domanda di ammissione alla Consulta comunale delle Associazioni familiari». Le Acli fuoriuscirono con clamore nel 2009, a seguito di una forzatura del regolamento che consentì l’ingresso in Consulta di alcune Associazioni, nonostante il parere contrario delle altre realtà aderenti: «Oggi riteniamo che la presenza delle Acli in Consulta sia divenuta necessaria per vigilare sulle decisioni dell’amministrazione comunale, a tutela delle famiglie, che sono il vero soggetto debole della società». Restano invariate, conclude Diaco «la piena adesione e la partecipazione al Comitato Vivi la Famiglia, che riunisce le altre Associazioni uscite nel 2009 dalla consulta».
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