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Riconoscimento per le ricerche eredometaboliche del fegato condotte al Policlinico universitario di Modena

Pietrangelo-VecchiL’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato (AISF) ha premiato la dottoressa Chiara Vecchi, una ricercatrice del Centro per le Malattie Eredometaboliche del Fegato (CEMEF) dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena, diretto dal prof. Antonello Pietrangelo, per la migliore pubblicazione italiana del 2014 in ambito epatologico. La cerimonia si è svolta ieri, giovedì 18 febbraio, presso l’Aula Magna dell’Università La Sapienza di Roma.
Lo studio, che si intitola “Gluconeogenic Signals Regulate Iron Homeostasis via Hepcidin in Mice” (I segnali gluconeogenici regolano l’omeostasi del ferro attraverso l’epcidina nei topi) è stato pubblicato nell’aprile del 2014 su Gastroenterology, una delle più prestigiose riviste internazionali della materia. La premiazione si è svolta nel corso della riunione dell’AISF con la consegna di una targa in argento. Lo studio e la pubblicazione sono tutti targati Policlinico di Modena, visto che gli autori della pubblicazione sono tutti quanti ricercatori appartenenti al CEMEF: oltre al prof. Antonello Pietrangelo e alla dott.ssa Chiara Vecchi, vi sono Giuliana Montosi, Cinzia Garuti, Elena Corradini, Manuela Sabelli e Susanna Canali.
“La gluconeogenesi epatica è un processo chimico che fornisce, per così dire, carburante durante la fame – spiega il prof. Antonello Pietrangelo – ma, paradossalmente, i segnali che la regolano sono attivati anche in individui con disturbi come l’obesità, sindrome metabolica, diabete e steatosi epatica non alcolica. Visto che in questi soggetti si registrano spesso anche alterazioni del ferro che influenzano negativamente sia l’azione dell’insulina che le malattia sottostanti, ci siamo chiesti se i segnali gluconeogenici fossero in grado di controllare l’epcidina, l’ormone centrale dell’omeostasi del ferro e, attraverso questo, modificare lo stato del ferro. Lo studio è stato effettuato su cavie da laboratorio”.
Lo studio ha verificato la regolazione dell’epcidina e lo stato del ferro in due coorti di topi diversamente alimentati. “La fame è stato osservato – ha aggiunto la dottoressa Chiara  Vecchi – ha portato non solo ad un aumento della produzione di una proteina coinvolta nella gluconeogenesi nel fegato di topi, come atteso, ma anche ad un aumento dei livelli di epcidina e del ferro nel fegato, come risposta alla maggiore domanda di energia durante  i periodi di fame. La perdita di questo meccanismo di difesa impedisce agli animali di resistere e sopravvivere al digiuno”.
“Il fegato – conclude il prof. Antonello Pietrangelo – è la centrale operativa che regola il metabolismo degli zuccheri, dei grassi e anche di elementi essenziali alla vita come il ferro. La scoperta è che un ormone che controlla il metabolismo del ferro è in grado di “sentire” anche i segnali che arrivano dal metabolismo degli zuccheri e “rispondere” con una serie di aggiustamenti che modificano non solo lo stato del ferro ma anche quello degli zuccheri e dei lipidi. Questo meccanismo ci permette, ad esempio, di sopravvivere durante il digiuno prolungato quando i livelli degli zuccheri nel sangue scendono troppo. D’altro canto, questi stessi segnali sono erroneamente attivati nel corso di malattie come il diabete, obesità e certe malattie epatiche e provocano un eccessivo accumulo di ferro nel fegato potenzialmente dannoso. L’applicazione clinica dei risultati ottenuti è di poter sviluppare ora molecole e farmaci di grado stimolare i processi scoperti per aumentare la difesa contro la fame e la malnutrizione. In direzione opposta sarà anche possibile interferire con gli stessi processi erroneamente indotti in corso di malattie ad alto impatto sociale ed epidemiologico (diabete, obesità etc.) allo scopo di prevenirne i danni e le conseguenze patologiche per l’uomo”.
Immagine: il professor Antonello Pietrangelo, Direttore del Centro per le Malattie Eredometaboliche del Fegato (CEMEF) dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena insieme alla dottoressa Chiara Vecchi, ricercatrice presso la medesima Struttura del Policlinico

 

















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