Si è svolto oggi alle 13 nell’atrio dell’ Ospedale S. Maria Nuova, alla presenza di una piccola folla di operatori sanitari e cittadini, un momento di riflessione a seguito dei recenti fatti di Parigi promosso dal gruppo “Un Ospedale per la pace” composto da medici, infermieri ed amministrativi del S. Maria Nuova.
Quindici minuti in cui si voleva: fare memoria delle vittime innocenti di ogni intolleranza, ribadire l’inalienabilità della libertà di espressione, riaffermare l’importanza di un cammino di integrazione come antidoto alla violenza.
Dopo una introduzione del dott. Francesco Merli per il gruppo “Un Ospedale per la pace”, è intervenuto il Sindaco Luca Vecchi a nome della Città.
I mediatori culturali dell’Ospedale hanno quindi letto, nelle diverse lingue, la frase di un giurista americano dei primi del novecento:
“Quando perdiamo il diritto di essere diversi, perdiamo il diritto di essere liberi”.
Un brano di musica classica eseguito al violino dal maestro Filippo Chieli, in memoria delle vittime, ha concluso il breve incontro
“Un Ospedale per la pace”
A seguire l’introduzione del dott. Francesco Merli
“C’è un filo rosso, purtroppo tragico, che lega l’esposizione oggi di questo striscione di “Un ospedale per la pace” con quella che facemmo nel 2002 al tempo della guerra in Iraq.
“L’islamismo radicale aveva bisogno di questa guerra e ne trarrà vantaggio. Anche se Saddam Hussein fosse eliminato, l’occidente si troverà di fronte un islamismo radicale più difficile da combattere e ideologicamente più inestirpabile, sia nei paesi musulmani che nell’Europa stessa”.
Parole purtroppo profetiche, alla luce degli avvenimenti di Parigi cioè dentro casa dell’Europa, pronunciate da Giuseppe Dossetti, monaco e tra i padri della nostra costituzione. E che naturalmente furono inascoltate.
Perché siamo qui ?
Il breve momento di oggi vuole essere prima di tutto un omaggio alle vittime di ogni violenza ed intolleranza in ogni parte del mondo. I morti, uccisi negli stessi giorni in Nigeria, in Pakistan certamente non hanno meno valore di quanti hanno perso la vita sulla soglia di casa nostra.
I fatti di Parigi ci interpellano però direttamente, ed è il secondo motivo per cui siamo qua. Accanto alla legittima difesa da questi atti terroristici che compete ad altri c’è una scelta di più lungo respiro che sola può togliere ossigeno ad ogni radicalismo violento e che riguarda l’agire quotidiano di tutti noi. Ed è quella di una politica di integrazione. Questo non è buonismo. E’ solo realismo. Perché la società multirazziale, multiculturale e multireligiosa è già nei fatti e indietro non si torna. Bisogna dire chiaramente che parlare di “guerra di civiltà” o di “milioni di musulmani pronti a colpirci” è buttare benzina sul fuoco con il rischio di un incendio che gli apprendisti piromani sarebbero i primi a non poter domare e con conseguenze difficilmente prevedibili per la nostra convivenza civile. Bisogna dire che in questi momenti occorre far parlare la testa e non la pancia.
Per questo ancora una volta una iniziativa di questo tipo trova la sua sede naturale in un ospedale, che è il luogo primo dell’integrazione fra gli uomini. Perché qui c’è solo l’uomo, senza altra specificazione di religione o di razza. E l’uomo sofferente. Credo che il nostro ospedale abbia una grande tradizione da difendere in tal senso. E non penso solo a medici od infermieri, per i quali il dovere di curare ogni persona quale ne sia la provenienza è insito nella professione stessa, ma penso al personale amministrativo di questo ospedale, preposto a questi compiti, che si prodiga per consentirci di svolgere il nostro lavoro cercando di superare tutte le difficoltà connesse a visti, permessi di soggiorno e burocrazie varie. E non è sempre facile.
Memoria delle vittime innocenti, difesa dei nostri valori di libertà d’espressione, promozione di una politica di integrazione. Questi dunque i motivi del nostro ritrovarci qui.
Ora il sindaco ci porterà il saluto della Città, quindi i mediatori culturali dell’ospedale, che già rappresentano una felice espressione di una società multirazziale, ripeteranno nelle varie lingue la frase di un giurista americano dell’inizio del 900 che ben riassume il senso di questa giornata, infine il violino esprimerà, con un brano di pochi minuti, quello che le parole non sanno dire: l’omaggio a tutte le vittime innocenti e il nostro sofferto essere parte di una umanità che ancora non sa esprimersi se non con la violenza dell’uomo sull’uomo”.