“Nella Casa di reclusione di Castelfranco Emilia non si può rinvenire alcuna forma reale di utilità tanto per gli internati quanto per la collettività”: a ribadirlo è la Garante regionale delle persone private della libertà personale, Desi Bruno, dopo che il personale del suo ufficio nel pomeriggio di giovedì ha visitato la struttura in provincia di Modena per effettuare colloqui con gli internati e per partecipare alla funzione religiosa per le festività natalizie, aperta alla partecipazione della società civile.
Il numero delle presenze è tendenzialmente stabile: sono un centinaio le persone in regime di internamento, mentre quelle detenute in regime di custodia attenuata, in ragione del loro stato di tossicodipendenza, “si contano sulle dita di una mano, e da ultimo si rileva che è stata chiusa anche la lavanderia in cui lavoravano”, avverte Bruno. “Da anni ormai, sebbene la denominazione sia quella di casa di reclusione, il tratto caratterizzante è, nei fatti, quello della casa di lavoro- prosegue la Garante-, e nella casa di lavoro, per definizione, l’internato dovrebbe lavorare, con il lavoro che ne dovrebbe caratterizzare il percorso di responsabilizzazione”. Ma ciò tuttavia “continua a non accadere, e continuano a mancare progetti di lavoro effettivo e remunerato, lavorando le persone per lo più nelle mansioni alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria, a rotazione per periodi limitati ed in mansioni tipicamente domestiche, poco qualificanti”. Solo pochi internati sono impiegati nell’azienda zootecnica e nel lavoro agricolo e delle serre: “Risulta, in maniera sconfortante, sempre più evidente il sottoutilizzo delle potenzialità della struttura- evidenzia Bruno-, fra le cui pertinenze rientrano svariati ettari di terreno, allo stato, assolutamente incolti”.
Gli internati, che trascorrono la maggior parte della loro giornata nell’ozio, sono per lo più di persone in condizione di forte disagio sociale, con storie di tossicodipendenza o problemi psichiatrici alle spalle, senza riferimenti sociali, abitativi, di lavoro, spesso privi anche di legami familiari dopo una vita trascorsa in carcere. Gli stranieri, spesso privi di documenti, sono ancora più sforniti di una rete di relazioni che possa supportarli all’esterno, con ulteriori difficoltà, spesso insormontabili, di reinserimento sociale. “In questo contesto non esistono praticamente possibilità di fornire alla magistratura di sorveglianza elementi idonei per esprimere un giudizio di cessata pericolosità sociale, provvedendo così conseguentemente alla proroga della misura di sicurezza- sostiene la Garante-, così gli internamenti, e in particolare le proroghe della misura di sicurezza detentiva, sono la risultante di condizioni di fortissimo disagio sociale”. Ad oggi, fra gli internati c’è anche un sordomuto, aiutato nella quotidianità dalla solidarietà dei compagni d’internamento, che se non interverrà un progetto di presa in carico da parte dei servizi territoriali potrebbe verosimilmente non uscire in tempi brevi dalla struttura, sebbene sia in possesso di un riferimento abitativo.
Immutata è anche la normativa prevista dal codice penale in tema di misure di sicurezza detentive per imputabili che prevede l’assegnazione alla casa di lavoro o alla colonia agricola, sebbene siano da tempo depositati progetti di riforma favorevoli alla loro abrogazione: fra gli altri, i progetti di riforma del Codice Penale Grosso, Nordio e Pisapia, e il Disegno di legge presentato nel 2010 alle Camere d’iniziativa dell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna.
“Appare necessario invertire la rotta”, rimarca l’Ufficio del Garante, che assicura che “tornerà a chiedere, da un lato, agli organi competenti l’opportunità di valutare riforme legislative che prevedano l’abolizione delle case-lavoro, nella considerazione che sia venuto meno il senso della loro presenza nel nostro ordinamento giuridico, e, dall’altro, nell’immediato, a chiedere con forza l’avvio di attività lavorative all’interno della struttura anche con il coinvolgimento della società esterna”. Al contempo l’Ufficio chiarisce che tornerà nuovamente a segnalare al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria l’opportunità di “territorializzare” le misure di sicurezza detentive, anche utilizzando gli appositi spazi degli istituti penitenziari, soluzione consentita dall’ordinamento penitenziario, agevolando il rientro e l’avvicinamento ai luoghi di residenza o di frequentazione abituale, così da consentire la presa in carico da parte dei servizi.
Una nota positiva è la risoluzione, seppur provvisoria, della questione relativa alla vacanza del magistrato di sorveglianza di Modena che ha competenza territoriale sulla struttura. Tale assenza nei mesi scorsi ha prodotto il blocco dell’attività ordinaria di esame delle istanze presentate dai detenuti e dagli internati, con conseguente interruzione dei percorsi trattamentali esterni, anche comportando la cancellazione di appuntamenti, da tempo calendarizzati, con i Ser.T. territoriali, propedeutici alla presa in carico con l’ingresso in comunità terapeutica: a breve un magistrato di sorveglianza appositamente individuato si occuperà per qualche mese delle questioni di competenza.