Contrastare i danni che i cinghiali del territorio montano arrecano sistematicamente alle colture agricole significa soprattutto esercitare una pressione venatoria efficace durante il periodo di caccia”.
Lo sottolinea il presidente della Cia, Cristiano Fini, a seguito di alcune segnalazioni di agricoltori dell’Appennino che hanno constatato una recrudescenza dei cinghiali nelle ultime settimane.
Ad essere presi come bersaglio sono stati i prati ed i medicai in aree di pregio dove la zootecnia è legata la Parmigiano Reggiano.
“Occorre una gestione articolata per contenere i danni da questi selvatici – osserva Fini – che prende il via da un programma di prevenzione prima ancora che i suidi entrino nei campi. In queste settimane, con la complicità delle piogge, i terreni erano intrisi di acqua e gli animali hanno trovato un terremo morbido e più facilmente aggredibile, lasciando buche ovunque, compromettendo gli sfalci primaverili e la livellatura dei terreni. Vanno quindi attuate tutte le iniziative utili e necessarie per il contenimento nei limiti accettabili dei cinghiali, dove prima di tutto va data priorità all’attività venatoria, nei limiti delle regole stabilite dal calendario venatorio e delle norme di sicurezza da attuare”. Nel merito, la Cia modenese sottolinea il contributo fondamentale dato dai cacciatori in braccata, avente lo scopo di limitare fortemente i danni causati dagli ungulati. La Confederazione sottolinea inoltre che le aree protette e le Zone di ripopolamento e cattura (Zrc) sono spesso rifugio dei selvatici, quindi terreni più colpiti, e dove gli animali agiscono con più frequenza. “Va inoltre migliorato il calendario venatorio che permetta il prelievo per periodi più lunghi ed indipendentemente dall’andamento climatico – conclude il presidente della Cia – e il coordinamento dei periodi e delle forme di caccia nelle zone limitrofe della provincia di Modena”.
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