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Suggestioni del Palladio e del Tiepolo alle origini del “bell’abitare” in villa. Domenica gita in Veneto con l’Associazione Culturale FORUM U.T.E.

Villa-Capra-la-RotondaL’Associazione Culturale  FORUM U.T.E.  di Sassuolo propone, per domenica 28 settembre 2014, la gita “Suggestioni Palladiane e Tiepolesche”
– alle origini del “bell’abitare” in villa in Veneto – con visita all’incantevole Villa Almerico Capra detta “La Rotonda”, progettata da
Andrea Palladio, e alla splendida Villa Valmarana “ai Nani”, decorata da  Giambattista e Giandomenico Tiepolo.

 

V I L L A   A L M E R I C O   C A P R A
D E T T A
“L A   R O T O N D A”
(proprietà privata)

Nel 1565 il canonico e conte Paolo Almerico, ritiratosi dalla curia romana dopo essere stato referendario apostolico sotto i papi Pio IV e Pio V, decise di tornare alla sua città natale Vicenza e costruirsi una residenza di campagna. La villa che commissionò all’architetto Andrea Palladio sarebbe divenuta uno dei prototipi architettonici più studiati e imitati per i successivi cinque secoli. Nel corso della sua vita, infatti, Palladio progettò circa trenta ville in terra veneta, ma è questa residenza, senza dubbio ispirata al Pantheon di Roma, che è divenuta una delle sue più celebri eredità al mondo dell’architettura, divenendo in seguito fonte di ispirazione per migliaia di edifici.
Con l’uso della cupola, applicata per la prima volta a un edificio di abitazione, Palladio affrontò il tema della pianta centrale, riservata fino a quel momento all’architettura religiosa. Malgrado vi fossero già stati alcuni esempi di un edificio residenziale a pianta centrale (dai progetti di Francesco di Giorgio Martini ispirati a villa Adriana o allo “studio di Varrone”, alla casa del Mantegna a Mantova, o la sua illusionistica “Camera degli Sposi” in Palazzo Ducale, sino al progetto di Raffaello per villa Madama), la Rotonda resta un unicum nell’architettura di ogni tempo, come se, costruendo una villa perfettamente corrispondente a sé stessa, Palladio avesse voluto costruire un modello ideale della propria architettura.

Il sito prescelto fu la cima tondeggiante di un piccolo colle appena fuori le mura di Vicenza. A quel tempo il fascino per i valori arcadici iniziava a spingere molti nobili possidenti a misurarsi con le gioie della vita semplice, malgrado gli aspetti piacevoli della vita a contatto con la natura rimanessero ancora in secondo piano rispetto alla scelta, tutta economica, di orientare gli investimenti verso un’agricoltura di tipo intensivo. Essendo celibe, il prelato Almerico non aveva bisogno di un vasto palazzo – vendette anzi quello che la sua famiglia aveva in centro città – ma desiderava una villa sofisticata, e fu esattamente questo che Palladio ideò per lui: una residenza suburbana con funzioni di rappresentanza, ma anche tranquillo rifugio di meditazione e studio. Isolata sulla cima del colle, questa sorta di originale “villa-tempio” in origine era priva di annessi agricoli. L’architetto la incluse significativamente nell’elenco dei palazzi, e non tra le ville, nei suoi Quattro libri dell’architettura pubblicati a Venezia nel 1570.

La costruzione, iniziata nel 1566 circa, consisteva in un edificio quadrato, completamente simmetrico e inscrivibile in un cerchio perfetto. Descrivere la villa come “rotonda” è tuttavia tecnicamente inesatto, dato che la pianta dell’edificio non è circolare ma rappresenta piuttosto l’intersezione di un quadrato con una croce greca. Ognuna delle quattro facciate era dotata di un avancorpo con una loggia che si poteva raggiungere salendo una gradinata; ciascuno dei quattro ingressi principali conduceva, attraverso un breve vestibolo o corridoio, alla sala centrale sormontata da una cupola. L’aula centrale e tutte le altre stanze erano proporzionate con precisione matematica in base alle regole proprie dell’architettura di Palladio, che egli elaborò nei suoi Quattro libri. Proprio la sala centrale rotonda è il centro nevralgico della composizione, alla quale il Palladio impresse slancio centrifugo allargandola verso l’esterno, nei quattro pronai ionici e nelle scalinate. La villa risulta così un’architettura aperta, che guarda la città e la campagna.

Il progetto riflette gli ideali umanistici dell’architettura del Rinascimento. Per consentire ad ogni stanza un’analoga esposizione al sole, la pianta fu ruotata di 45 gradi rispetto ai punti cardinali. Ognuna delle quattro logge presentava un pronao con il frontone ornato di statue di divinità dell’antichità classica. Ciascuno dei frontoni era sorretto da sei colonne ioniche (esastilo ionico). Ogni loggia era fiancheggiata da una singola finestra. Tutte le stanze principali erano poste sul piano nobile

Né Andrea Palladio né il proprietario Paolo Almerico videro il completamento dell’edificio, malgrado questo fosse già abitabile nel 1569. Palladio morì nel 1580 e fu così un secondo importante architetto, il vicentino Vincenzo Scamozzi, ad essere ingaggiato dai proprietari per sovrintendere ai lavori di completamento, che si conclusero nel 1585, limitatamente al corpo principale, con la costruzione della cupola sormontata dalla lanterna. Palladio intendeva coprire la sala centrale con una volta semisferica, ma Scamozzi, ispirandosi al Pantheon, adottò invece una volta più bassa con un oculo (che come nel tempio romano doveva essere a cielo aperto) e apportò altre limitate modifiche al progetto, come il taglio alla scalinata che permetteva un accesso diretto dall’esterno ai locali di servizio posti al pianterreno. La scalinata fu nuovamente modificata nel XVIII secolo da Ottavio Bertotti Scamozzi che la riportò alla forma originale e il piano attico fu suddiviso in stanze da Francesco Muttoni, che modificò i mezzanini (1725-1740).

Alla morte del committente Almerico, nel 1589, la villa finì in eredità al figlio naturale Virginio Bartolomeo il quale, a causa della disastrosa gestione economica, fu costretto a venderla due anni dopo, nel 1591, ai fratelli Odorico e Mario Capra. Furono questi ultimi a portare infine a termine il cantiere trent’anni dopo, nel 1620, con la decorazione interna ad affresco. Lo Scamozzi aggiunse gli annessi rustici esterni (la barchessa, staccata dal corpo principale) per le funzioni agricole, non previste nel progetto originario. Al complesso fu aggiunta infine la cappella gentilizia, costruita da Girolamo Albanese per volontà del conte Marzio Capra tra il 1645 e il 1663.

“È ormai pacifico quanto tale privilegiato richiamo all’idea di monumento singolo ed emergente sia volutamente lontana sia dallo schema della villa antica, aggregato di singoli edifici distribuiti asimmetricamente, come dalla struttura della stessa villa veneta cinquecentesca, autentica piccola capitale di un latifondo: la soluzione palladiana esaltando, nell’isolamento, la centralità crea, sì, un’abitazione, ma intesa quale sede adatta, si direbbe, più che alla vita quotidiana, all’altezza dell’intellettuale speculazione: dimora, invero, più che degli uomini, degli dei”.

L’interno avrebbe dovuto essere splendido non meno dell’esterno; le statue sono interventi di Lorenzo Rubini e Giovanni Battista Albanese; la decorazione plastica e dei soffitti è opera di Agostino Rubini, Ottavio Ridolfi, Ruggero Bascapè, Domenico Fontana e forse Alessandro Vittoria; gli apparati pittorici in affresco sono di Anselmo Canera, Bernardino India, Alessandro Maganza e più tardi del francese Louis Dorigny. Le decorazioni della villa sono state realizzate durante un lungo periodo di tempo e di alcune l’attribuzione non è certa.

Tra i quattro principali saloni del piano nobile vi sono la sala ovest, decorata con affreschi di tema religioso, e il salone est, che ospita un’allegoria della vita del primo proprietario conte Paolo Almerico, con le sue numerose e ammirevoli qualità ritratte in affresco.
Il luogo più notevole dello spazio interno è senza dubbio la sala centrale circolare, dotata di balconate, che si sviluppa a tutt’altezza fino alla cupola. Il soffitto semisferico è decorato da affreschi di Alessandro Maganza: anche qui troviamo allegorie legate alla vita religiosa e alle Virtù ad essa collegate. La parte inferiore della sala, alle pareti, è invece adornata con finte colonne dipinte in trompe-l’œil e gigantesche figure di dei della mitologia greca, opera successiva di Dorigny.

Come nell’architettura di Palladio, pensata per un uomo di chiesa, anche nell’apparato decorativo vengono inseriti elementi formali destinati a suggerire un senso di sacralità, in sintonia con tale programma celebrativo. La quantità di affreschi richiama maggiormente l’atmosfera di una cattedrale che non quella d’una residenza di campagna. Goethe, che fece più volte visita alla villa, disse che Palladio aveva reso un tempio greco adatto ad abitarvi.

 

V I L L A   V A L M A R A N A   “A I   N A N I”
(proprietà privata)

« Oggi ho visitato la villa Valmarana decorata dal Tiepolo, che lasciò libero corso a tutte le sue virtù e alle sue manchevolezze. Lo stile elevato non gli arrise come quello naturale, e di quest’ultimo ci sono qui cose preziose, ma come decorazione il complesso è felice e geniale».
Così Goethe, nel suo Diario del viaggio in Italia (al 24 settembre 1786) descrive la dimora situata nelle vicinanze della città di Vicenza, sulle falde di Monte Berico, celebre, appunto, per gli affreschi di Giambattista Tiepolo e del figlio Giandomenico.

Il nomignolo con cui è conosciuta, cioè Villa Valmanara “ai nani”, per differenziarla dalle altre ville della stessa famiglia – compresa la Villa Almerico Capra detta “La Rotonda”, dei Valmarana dal 1912 – è dovuto alle sculture in pietra rappresentanti dei nani, un tempo sparse nel parco, oggi allineate sul muro di cinta.

Il primo edificio, quello residenziale, voluto da Giovanni Maria Bertolo, fu completato nel 1670. Durante gli anni successivi alla struttura furono affiancate una barchessa, una foresteria, una stalla e vari altri edifici, tipici delle ville venete; tuttavia la collocazione collinare e gli interessi dei proprietari fanno sì che questa villa si caratterizzi più come residenza che, come accade per molte altre ville venete, come centro produttivo agricolo.

Nel 1720 la proprietà venne ceduta ai fratelli Valmarana: ancora oggi è questa famiglia a possedere il complesso e ad abitarlo in parte.

Nel 1736 Giustino Valmarana incaricò Francesco Muttoni del restauro della villa; fu il Muttoni ad apportare molte delle modifiche che si vedono attualmente, come i frontoni triangolari sui due lati della palazzina principale, l’ampliamento con la foresteria e le scuderie, sviluppate su due piani con accesso dal viale che porta alla villa e dal piazzale soprastante.

La palazzina principale e la foresteria furono affrescate da Giambattista Tiepolo e dal figlio Giandomenico nel 1757, per volere di Giustino Valmarana. In particolare la palazzina principale ripercorre temi mitologici e classici, con scene dall’Iliade, dall’Eneide, dalla mitologia, dalla Gerusalemme liberata di Torquato Tasso e dall’Orlando furioso dell’Ariosto. Ai quattro lati della villa altrettante stanze rievocano l’epopea antica e moderna attraverso bellissime scene eroico-amorose: come in un percorso iniziatico i protagonisti dei quattro sommi poemi della storia d’Europa riflettono sulla necessità di superare le delizie e le pene d’amore per raggiungere la maturità e la solitudine eroiche. Tiepolo, oltre al pennello, ha fra le mani i libri che hanno segnato il pensiero occidentale, la storia che lega l’antico al moderno, la Grecia e Roma al grande Rinascimento italiano, in un gioco di specchi e di imitazioni. La villa diviene così un “palazzo della memoria”, schema dell’universo imperniato sui quattro angoli-pilastro (Nord, Sud, Est, Ovest) in cui i personaggi-chiave dell’epica, la storia immaginaria che unifica i tempi (Antico, Moderno) attraverso le gesta degli eroi celebrati per il coraggio adamantino e le virtù straordinarie, si raccolgono dialogando su un teatro virtuale. I personaggi affrescati esprimono un sentimentalismo che richiama quello dei personaggi del melodramma, che a partire da Pietro Metastasio divenne un genere teatrale ampiamente diffuso nel XVIII secolo.

 

La gita prevede il viaggio in pullman fino a Vicenza  dove si visiteranno gli esterni ed eccezionalmente ed in via privata ed ed esclusiva anche gli interni (solitamente sempre chiusi la domenica e aperti appositamente solo per il nostro gruppo)  di Villa Almerico Capra detta “La Rotonda”. Seguirà il trasferimento per il centro di Vicenza dove sarà possibile effettuare il pranzo (libero). Nel primo pomeriggio si raggiungerà la Villa Valmarana ai Nani  con visita agli esterni e all’interno per poi fare ritorno a Modena e a Sassuolo.

P A R T E N Z E

da Sassuolo, piazzale Risorgimento, ore 7.00
da Modena, piazzale della Motorizzazione Civile, ore 7.20

Le visite guidate saranno condotte da Luca Silingardi, storico dell’arte.
NUMERO MINIMO DI PARTECIPANTI: 25

Per informazioni e per la prenotazione obbligatoria entro e non oltre le ore 20 di venerdì 26 settembre: Danira Guidetti Calabrese 348 5495475

 

 

 

















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