Francesco Palermo, noto ed affermato imprenditore con diversi punti vendita di oggetti preziosi, oreficeria, orologeria e oggettistica da regalo a Modena e che allo stesso tempo è un dirigente di Confcommercio Ravenna, ha deciso di intraprendere un’azione legale per opporsi al pagamento di una serie di cartelle relative all’imposta di pubblicità.
“Materia del contendere – spiega Alberto Crepaldi – non è la cifra delle cartelle (2.200 euro ca, ndr), ma l’interpretazione che l’Amministrazione Comunale e il suo braccio operativo ICA danno sull’applicazione dell’imposta di pubblicità sulle insegne con marchi di franchising. Secondo noi, alla luce di direttive ministeriali e anche di recenti pronunciamenti giurisprudenziali, si tratta di una interpretazione abusiva, che introduce una distinzione tra insegne di esercizio, di cui la normativa nazionale in essere peraltro non parla”.
Da ciò deriva il fatto che gli esercizi commerciali in Italia con marchi non propri versano per un’imposta che non dovrebbero pagare circa 100 milioni di euro all’anno. Si calcola invece che in città siano almeno trecento le insegne nella medesima situazione di quelle di Palermo.
“Con il sostegno di Confcommercio Modena – puntualizza l’imprenditore – abbiamo deciso di adire le vie legali perché crediamo che il nodo vada sciolto una volta per tutte: non è possibile che tante amministrazioni comunali, come quella di Modena, facciano finta che il problema non esiste. Perché qui sono in ballo centinaia di migliaia di euro e con esse la sopravvivenza stessa di imprese, ridotte “in fin di vita” da crisi, burocrazia e tasse”.
L’azione legale pilota intrapresa a Modena servirà a chiarire chi ha ragione. Ma il tema investe il livello normativo nazionale, visto che la legge quadro sull’imposta di pubblicità afferisce la competenza legislativa nazionale.
“Anche per questo motivo – afferma Confcommercio – del tema è stato investito Luigi Taranto, componente della Commissione Attività Produttive della Camera e presto verrà intrapresa un’azione parlamentare ad hoc per chiarire, come ci auguriamo, che le insegne di franchising sono insegne come le altre e quindi esentate dal pagamento qualora non superino i cinque metri quadri di ampiezza”.
“Peraltro – conclude Massimo Malpighi – , a sostegno della fondatezza della nostra tesi, vi è da segnalare che in taluni comuni, come ad esempio in quello di Parma, è stato recepito l’orientamento per cui le insegne di esercizi commerciali sono tali a prescindere dal rapporto contrattuale che lega il titolare del marchio ed il suo concessionario di uso. L’auspicio, quindi, è che la prossima Giunta faccia definitivamente chiarezza sul tema, come chiediamo da mesi. Ciò nell’ottica della costruzione di un rapporto sempre più trasparente tra mondo delle imprese e amministrazioni pubbliche”.