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Le statistiche sui servizi sanitari dei quotidiani economici, Arcispedale S.Maria Nuova: ecco perché gli indicatori possono essere fuorvianti

La classifica nazionale sulla qualità di vita recentemente pubblicata da Italia Oggi, richiede alcune riflessioni. Volendo anche prescindere per un momento dal fatto che sia universalmente riconosciuto e scientificamente provato che la Sanità incide sulla salute di una comunità solo per il 25% (mentre il 75% dei determinanti di salute sono riconducibili agli stili di vita, al contenimento delle disuguaglianze sociali, alla qualità dell’ambiente e dell’organizzazione urbana) e limitando, quindi, l’analisi agli indicatori numerici utilizzati, emerge un profilo sommario del Sistema Sanitario Regionale e di quello della Provincia di Reggio Emilia, evidentemente deformato.

Una premessa è doverosa: i rapporti ufficiali in cui, ogni anno, i Sistemi Sanitari delle singole Regioni vengono comparati (OASI, Mev, Meridiano Sanità, Piano Nazionale degli Esiti, CEIS/CREA), collocano l’Emilia Romagna al primo posto per quanto attiene al soddisfacimento dei Livelli Essenziali di Assistenza (i cosiddetti LEA) e le attribuisce il miglior saldo positivo fra emigrazione ed immigrazione ospedaliera.

Questo primo dato riporta ad un’analoga classifica pubblicata sul Sole 24 Ore nel dicembre scorso, in cui, nell’ambito degli indicatori di qualità di vita, si valuta la cosiddetta “mobilità passiva” provinciale, riconoscendo la pole position, alla realtà con il tasso di emigrazione sanitaria più basso, e ritenendo, pertanto, un valore la disponibilità dell’intera offerta ospedaliera specialistica su ogni singola provincia.

Non è un caso se il dato della nostra Regione, viceversa, richiede di essere letto in chiave di sistema e non di singoli territori provinciali: l’autosufficienza locale della totalità dell’offerta, oltre a costituire un obiettivo irrealizzabile, laddove perseguito ossessivamente, ha generato inefficienze e disavanzi. Dove invece, come in Emilia Romagna si è fondato sul principio delle reti cliniche integrate (anche sovra-provinciali) ha generato il miglior saldo positivo fra immigrazione ed emigrazione, unito all’equilibrio di bilancio.

Se dall’ambito regionale, spostiamo, poi la riflessione sul Sistema Sanitario della provincia di Reggio Emilia, i rapporti ufficiali riferiscono che esso colloca ai vertici nel rapporto fra spesa procapite, qualità e distribuzione dei Servizi, indicatori di salute e di sopravvivenza nei tumori sottoposti a screening: il dato è disponibile anche per il fatto stesso che Reggio dispone, a differenza di altre realtà regionali e nazionali, di un Registro tumori in grado di fornire riscontri puntuali su incidenza, prevalenza, mortalità.

Da cosa nasce, quindi, una rappresentazione così diversa e, per certi versi, fuorviante, che pone il Sistema Salute della Provincia di Reggio Emilia al 96° posto, precedendo di pochissimo realtà come Trapani, Taranto, Crotone, Brindisi, Siracusa, Oristano e, comunque, ampiamente al di sotto delle performance di Province o Regioni commissariate o sottoposte a piani di rientro e giudicate inadempienti dal Ministero della salute sulla erogazione dei LEA, a dimostrazione dell’inefficienza (e spesso dell’inefficacia) dei relativi servizi sanitari?

Analizzare un Sistema Salute sulla base di indicatori di Struttura (numero dei posti letto nelle diverse discipline, numerosità delle tecnologie disponibili), è evidentemente fuorviante: quanto un territorio o una comunità sia in salute e disponga di servizi efficaci ed adeguatamente distribuiti, non può essere misurato in termini esclusivamente quantitativi, prescindendo da dati che misurino l’utilizzo efficiente ed appropriato delle risorse, nonché gli esiti che essi determinano.

Il Sistema Salute della provincia di Reggio Emilia per Italia Oggi è paradossalmente insufficiente per gli stessi motivi per cui a livello regionale e nazionale viene considerato un riferimento di qualità, di appropriatezza, di competenza gestionale, di innovazione organizzativa:

• numero di posti letto ospedalieri in alcune discipline per 1000 abitanti: nella classifica di Italia Oggi si posiziona ai vertici della classifica chi dispone di un maggior numero di posti letto, laddove viceversa, la legislazione nazionale e gli indirizzi internazionali tendono ad un loro giustificato contenimento: Reggio Emilia ha già raggiunto una dotazione di 3,65 posti letto per 1000 abitanti perfettamente allineata alle previsioni legislative ed assolutamente autosufficiente per il fabbisogno di ricovero della popolazione di riferimento.

• numero di TAC, Risonanze Magnetiche e gruppi radiologici per 1000 abitanti: il discorso è sostanzialmente analogo a quello dei posti letto. L’obiettivo non può e non deve essere quello della “iper-dotazione” di tecnologie, ma l’utilizzo efficiente di quelle disponibili, la pianificazione puntuale delle attività sul maggior numero di ore giornaliere, un programma di acquisizioni equilibrato ed in grado di apportare contenuti realmente innovativi.

Tutto ciò che, nel tempo, abbiamo imparato a considerare un aspetto deteriore dell’Organizzazione Sanitaria, torna all’attenzione dei lettori come elemento qualificante.

Quasi a dire che sono le risorse in quanto tali a fare la differenza e a scavare un abisso fra Isernia e Reggio Emilia: non i dati epidemiologici, di sopravvivenza della popolazione ai principali tumori, quelli che misurano il livello di gradimento dei servizi da parte della popolazione, la capillarità dell’offerta, in rapporto all’equilibrio economico-finanziario, bensì la numerosità di posti letto e tecnologie a prescindere dal loro efficace, appropriato ed efficiente utilizzo, e dai i risultati che producono.

Infatti, la graduatoria di Italia Oggi prende in considerazione solamente indicatori strutturali di area ospedaliera e nulla considera dei servizi territoriali e di sanità pubblica riproponendo una visione “ospedalocentrica” obsoleta in controtendenza con gli indirizzi internazionali e nazionali che richiamano il contributo fondamentale delle cure primarie, della prevenzione, della continuità assistenziale ospedale-territorio e dell’integrazione socio-sanitaria.

Per quanto riguarda gli indicatori nella valutazione della performance di qualsiasi sistema vengono utilizzati da oltre 30 anni indicatori di struttura, di processo e di esito. I primi fotografano di solito l’offerta strutturale e tecnologica ma nulla dicono sulla efficienza di utilizzo e tantomeno sui risultati. Il paradosso che le offerte ridondanti e per questo inefficienti, vengono valorizzate. Gli indicatori di processo sono più coerenti alla valutazione di efficacia e di efficienza nell’utilizzo delle risorse. Ma i risultati reali in termini di produzione di salute si ricavano dagli indicatori di esito. Un semplice esempio può essere la prevenzione dei tumori del colon-retto attraverso lo screening di popolazione. In questo caso specifico l’indicatore di struttura (o di offerta) è semplicemente l’attivazione uniforme del programma di screening nella realtà territoriale considerata. Questo indicatore nulla dice però di come funziona. Un indicatore di processo può essere l’adesione della popolazione allo screening che ci dice se il programma funziona e con quale efficienza. L’indicatore di esito è correlabile ai vantaggi in termini reali di salute per la popolazione (numero di casi positivi, precocità della diagnosi, sopravvivenza nel tempo). Ebbene in questo campo possiamo dire che in provincia di Reggio Emilia (come in tutta la Regione Emilia-Romagna) lo screening è attivo dal 2005 mentre in altre realtà del paese non è ancora attivo. Che funzioni lo dimostra il più alto tasso di adesione della nostra Provincia rispetto ad altre realtà regionali. E che incida positivamente sullo stato di salute della popolazione lo dimostrano i dati dei Registi Tumori che pongono Reggio Emilia ai vertici in Italia per la sopravvivenza a 5 anni per questa malattia. Dato sicuramente attribuibile alla qualità delle nostre strutture di diagnosi e cura ospedaliere, ma anche alla massiccia adesione della popolazione e quindi alla prevenzione (togliere un polipo può voler dire evitare l’insorgenza di un tumore) e/o all’ anticipazione della diagnosi (le malattie diagnosticate in fase precoce hanno una maggiore probabilità di essere curate).

In un tentativo di massima e sbagliata semplificazione, secondo Italia Oggi, un Sistema Salute vale tanto più quanto più dispone di tecnologie (professionali, logistiche, tecnologiche) e, quindi, quanto più spende.

Sappiamo bene, invece, la strada da percorrere va nella direzione diametralmente opposta.

Non bisogna, tuttavia, sottovalutare il fatto che rappresentazioni eccessivamente semplificate e sbagliate, come quella di Italia Oggi, oltre a non innalzare il livello di conoscenza dei fenomeni sanitari, rischiano di compromettere (o, quantomeno, di scoraggiare) il lavoro di tantissimi operatori e professionisti della Sanità, impegnati su una traiettoria molto più dura e faticosa, perché chiede loro di far propri i principi dell’efficacia, dell’appropriatezza, dell’uso efficiente delle risorse, della buona ricerca come fondamento di una buona medicina, dell’investire in nuove metodiche dopo aver disinvestito su quelle di provata inefficacia.

Fortunatamente le classifiche passano, ma i risultati che i cittadini, le Istituzioni, i pazienti misurano sono lì a testimoniare il valore di questo Sistema.

 

















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