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“Magnitudo Emilia”, un libro e un progetto di solidarietà per la Bassa

La sofferenza e la capacità di reazione, la distruzione e la rinascita. E’ un racconto appassionato di una terra e di una comunità colpita dal terremoto ma determinata a ricominciare quello che emerge da “Magnitudo Emilia”, un volume promosso dal Consorzio Banche Popolari, con il patrocinio della Provincia di Modena, che servirà anche per raccogliere fondi per la ricostruzione.

Il volume, interamente realizzato da modenesi, nasce dall’iniziativa dei due autori, il fotografo Luigi Ottani e la giornalista Annalisa Vandelli, dall’agenzia di comunicazione Labirinto e dall’editore Artestampa, che hanno condiviso il progetto di solidarietà e visto nel materiale, fotografico e testuale, la possibilità di creare un libro con un valore artistico e un taglio diverso dalla semplice documentazione di reportage (comunicato n. 769).

La collaborazione delle banche coordinate dal Consorzio Banche Popolari ha consentito di creare un progetto di solidarietà più ampio, mettendo a disposizione un conto corrente gratuito dove verranno versati 2 euro per ogni libro venduto a privati e aziende. Lo stesso conto corrente sarà messo a disposizione del pubblico anche per raccogliere ulteriori donazioni volontarie.

Per garantire la massima trasparenza sulla destinazione dei fondi raccolti sul sito www.magnitudoemilia.it, dedicato al progetto, sarà visibile e costantemente aggiornato il flusso dei versamenti.

La destinazione finale dei fondi raccolti sarà indicata dai volontari della Protezione Civile. «E’ una precisa volontà degli autori e dei sostenitori del progetto – spiega Emilio Sabattini, presidente della Provincia di Modena – che le risorse raccolte vengano utilizzate a supporto delle persone che sono tuttora coinvolte nella gestione del post terremoto e che si sono dimostrate straordinariamente efficienti e concrete nel portare aiuto alle popolazioni colpite da questa calamità».

Attraverso le banche del territorio – Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Banco Popolare San Geminiano e San Prospero, San Felice 1893 – il Consorzio Banche Popolari ha acquistato un quantitativo di copie utile a consentire una prima stampa del volume.

«Abbiamo deciso di sostenere il progetto – spiega Fabrizio Togni, presidente del Co.Ba.Po e vice direttore generale della Banca popolare dell’Emilia Romagna – consapevoli del suo alto valore culturale, che si proietta oltre l’emergenza per rinsaldare radici e legami di una realtà duramente provata dal sisma, ma che ha dimostrato volontà e forza per ripartire. Il sistema bancario è ogni giorno a fianco di imprese e famiglie con gli interventi specifici della propria attività, cui si aggiungono iniziative come questa, non meno importanti sul piano sociale».

LE IMMAGINI DI LUIGI OTTANI E I RACCONTI DELLA GIORNALISTA ANNALISA VANDELLI

“Magnitudo Emilia” è un volume fotografico corredato da scritti originali in vario stile che, attraverso le immagini di Luigi Ottani e altrettante “immagini” costituite dai testi della giornalista Annalisa Vandelli, racconta le ferite provocate dal sisma nella bassa modenese per fissare quei tragici momenti. Il volume – 160 pagine più copertina, formato 24×30 cm, 85 fotografie in bianco e nero e 46 testi originali – sarà disponibile nelle principali librerie dell’Emilia Romagna dal mese di novembre e può essere acquistato on-line dal sito dell’editore www.edizioniartestampa.com. o tramite tutte le librerie on-line della rete, da Ibs a Amazon, al prezzo di 23 euro comprensivi della quota che sarà devoluta a scopo benefico.

Nelle 85 immagini selezionate, il fotografo formiginese Luigi Ottani racconta in bianconero a forti contrasti le geometrie spezzate dei paesi colpiti dal sisma. I racconti sono di Annalisa Vandelli, inviata del ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Italiana in Africa, Medio Oriente, Sudamerica.

«Dalle macerie – scrive nella prefazione Francesco Genitoni – ha tirato fuori testi brevi ma densi e ossigenati nei quali ridà anima alla storia dei paesi feriti, alle attività umane e ai loro prodotti, alle cose e, naturalmente, all’infinita varietà degli uomini». «Il terremoto – osserva ancora Genitoni – assieme alle forze oscure della terra ha messo in libertà le potenzialità più luminose del sottosuolo umano: umiltà e forza ideale individuale e collettiva, cultura e fede, memoria e volontà. Collanti che possono rimettere insieme tutte le cose, specchi compresi, e trasformare gli anni non in sette di disgrazie ma in “sette volte sette” di rinnovate opportunità».

TESTI IN ANTEPRIMA

TORRE DELLA SACCHELLA

Da quassù si dominava la piana.

Li ho visti, sotto di me, tirarsi colpi d’archibugio; trascinare corpi svuotati e stanchi a Fossoli1.

Ho osservato uomini condurre buoi al giogo e donne profumare l’aria di gnocco fritto. Li ho visti bambini con le braghe corte correr dietro alle galline e diventare adulti correr dietro alle contadine. Ho guardato guardare questi campi tirati al verde come biliardi; e bonifiche, laghetti, fossati; pesci gatto, carpe; “piangiani2” e montanari.

Li ho visti nascere e morire, come gli altri: gli animali, gli alberi e i canali.

Immobile, dal ‘400 io vi guardo. Costruita per questo: solo per vedervi, per dare l’allarme, al confine di uno stato e di un ducato3, che pure ho visto sparire.

Tutto si riprende la terra, anche me, che in tanti mi avete vista in piedi: Sua Altezza, torre della Sacchella, 27 metri alta come la piazza di Modena. E a 12, qui, dove mi sento ancora una costola dolere, c’è la misura di quella di Carpi.

Con due colpi sono inciampati a terra i mattoni che avevate compilato.

E adesso, più non vi vedo, se non vi avvicinate.

Come un vecchio non vedo se non chi s’avvicina.

L’ESTRAZIONE

La casa è crollata, aveva diciotto anni: tre piani di macerie, qualche vena di stoffa sbrindellata e spettinati fili di ferro che sgusciano, come lance conficcate. Ogni cosa ha perso la sua forma, si è impigliata, accatastata, non risponde più a un appello confuso.

Al di qua ci siamo noi, le telecamere, i curiosi e le alte transenne che squadrano il caos, con i loro rettangoli di ferro sottile. C’è un uomo appoggiato che guarda, col naso appeso. È seduto sulla sua bicicletta. Viene da poco lontano. Forse è di Cavezzo.

La ruspa col muso da dinosauro rosicchia e ammucchia. Poi gira il collo e fa un cenno, al di là delle transenne, alle cinque persone che aspettano. Uno di loro ha la mascherina. Obbedisce al dinosauro e gli si avvicina. La bestia è in pausa dal brucare, dal ghiotto sferragliare. L’uomo è minuscolo, di fretta si accosta al mucchio di accozzaglie e raccoglie uno zaino, qualche foglio, un vestito bianco. Poi scappa via, torna in postazione, incastonato tra le altre persone.

Il dinosauro scruta e riprende. Succhia i fili di ferro come spaghetti, pezzi di legni e legnetti in crosta di muro bianco. Si guarda intorno e continua vorace la sua opera d’ordine, finché gli scappa un altro cenno. L’uomo con la mascherina accorre. Si china, sorride. Solleva stavolta un album di foto con una mano e nell’altra una giacca da moto.

Ritorna nei ranghi. Mostra il bottino ai quattro in attesa. Il palombaro ha recuperato un pezzo di mare: è questa la grande sorpresa. Una donna lo aspetta. Lo sgrava della giacca da moto e ci scuote la polvere, poi gli sorride. Loro lo sanno, solo loro: le mete, i chilometri, i baci e i saluti. Li vedono insieme, ad ogni colpo di mano. E vanno lontano.

Indovina ora, dinosauro affamato, colui che qui abitava. Indovina, prima di tirare e spostare.

Ti lascio un indizio, l’appello di oggetti interi e di quelli appena intravisti: cesta di vimini, stenditoio (anzi no, ringhiera), carpette blu, pentola rossa in equilibrio su un lembo di muro, un termosifone, l’antenna della televisione, un materasso, la bandiera della pace, un guanto da boxe, una lampada da tavolo, il Corano, una vaschetta da bagno, stampante e pc, un mocho vileda, due scarpe spaiate, cateteri, una barbie, una vestaglia rosa…

E da sfondo il campanile decapitato, con la bandiera italiana sopra appesa, guarda una ruspa arrivare e la catasta vomitata lentamente caricare. La guarda sparire su un camion la sua casa, fatta a pezzi da una scure invisibile, sezionata da un primate meccanico, impilata da una ruspa sapiente.

L’uomo con la mascherina la guarda andare via, la sua casa, su un camion.

CARON DIMONIO CON OCCHI DI BRAGIA

Caronte arriva a bordo di un muletto. Ha la faccia dolente, la barba disfatta. Non è nato per fare questo mestiere. Non l’ambizione, non la passione, ma il fato lo ha reso traghettatore. Ha i baffi bianchi e la piega degli occhi rivolta a terra. La forza di gravità esercita un’insolita prepotenza sulle sue palpebre. Perciò, a fatica, tiene le pupille in vista, come colui che non vuole vedere ciò che meccanicamente compie.

Caronte non parla; gesticola. Trova di cattivo gusto dare confidenza a chi ha il destino segnato.

Speditamente inforca un pallet e divide: da una parte i dannati e dall’altra i salvati. Li conosce uno a uno. I primi mostrano ferite e squarci; gli altri la rotonda speranza di riposare in un luogo più sicuro.

Caronte conduce una folla pesante, muta e rassegnata. Impila forme ferite: una sull’altra. Il marchio della caduta si è aggiunto a quello del Parmigiano Reggiano, calcandogli sopra la nuova destinazione.

La latteria Tullia di Rolo si è squarciata da un lato, mostrando agli automobilisti 35.800 forme crollate, pazientemente archiviate qui dal febbraio 2011 all’aprile 2012.

In tutto il comprensorio sono 630.000 quelle cadute.

Le scalere del magazzino si sono appoggiate l’una sull’altra, in un devastante effetto domino.

E il terremoto si è divertito a giocare a bocce con le forme di Parmigiano.

Il muletto di Caronte arriva e mette da parte quelle che si tenterà di portare a 24 mesi, in magazzini sani che le ospiteranno.

Il traghettatore in tuta blu fa lo slalom tra un esercito di volontari arrivati dal Trentino. Sono organizzatissimi, come batteri che attaccano ferri e legni. Stanno smontando le scalere, facendole a pezzi con la trancia idraulica per non creare scintille che lesionino ancora di più il formaggio. Sono uomini forti, leggeri come ballerine. In tuta bianca maneggiano attrezzi e luoghi, con poche chiacchiere e molti gesti creano spazio, l’ordine nel caos.

“Abbiamo la forza e vogliamo ricominciare. I soci possono continuare a mungere e tra due anni mangeremo il formaggio nato dopo il terremoto”, una breccia dentro alla storia, un avanti e dopo Cristo della Bassa modenese, ferrarese e mantovana.

ANIMALS

“Stamattina, in data 13 giugno 2012, una gallina di Gruppo di Fossoli ha fatto un uovo rotondo. Sarà stato l’effetto del terremoto”.

“Guardi la mia casa. È da buttare giù. Io e mia moglie non abbiamo più niente. Tutto è lì dentro e non possiamo entrare. Ieri ero in giro col mio cane. Una donna mi ha fermato: “che cane bellissimo ha lei”. E io le ho detto:

“Le piace? glielo regalo. Lo prenda; tanto io non ho più niente da dare, neanche a lui”.

Una cicogna taglia il cielo sopra il cimitero di Cavezzo.

È maestosa. Poi si sposta verso la cittadina, che per lei non è zona rossa. Gira a vuoto, circolarmente. La seguono alcuni uccelli più piccoli, come paggi sorpresi da tanta maestà.

E lei gira, insistente. Cerca qualcosa, qualcosa che non trova: il comignolo che reggeva il suo nido.

La gazza ladra è stata chiusa in gabbia. La gente ha paura degli sciacalli, anche di quelli che entrano in volo.

“Quei due capretti sono nati con la seconda scossa del 20 maggio. Povera capra con tutti ‘sti giramenti dentro e fuori…”

Smarrito (gatto tigrato) il 29 maggio 2012. Si riconosce per l’andatura zoppicante. Ricompensa a chi lo trova.

Un pappagallo in gabbia estratto vivo da una casa inagibile; scortato a terra dai vigili del fuoco e consegnato nelle mani della proprietaria. Non parla e non commenta.

“Le mucche fanno meno latte. Non so se sia stata la paura o il cibo che è diventato meno consono”.
















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