“Anche nel campo della riforma dello Stato, pur con un livello inadeguato, uno dei pochi risultati lo si deve al governo Monti che ha – di fatto – obbligato la politica a discutere della riduzione del numero delle province e della loro riorganizzazione. Senza questa riforma si sarebbe continuato solo a fare chiacchiere, e nel contempo magari in Parlamento si sarebbe proposta l’istituzione di qualche nuovo ente provinciale, che è quanto accaduto fino a poco tempo fa, in maniera bipartisan” – Così Simone Montermini in qualità di presidente dell’associazione Riformisti Insieme in merito alla creazione della Provincia Emilia – .
“I partiti, di fatto già in campagna elettorale, continuano a promettere riforme. Ma un vero spirito riformatore, non avrebbe atteso la formulazione del decreto governativo sulla riorganizzazione delle province, per mettere mano al governo complessivo del territorio, oggi frammentato tra competenze sovrapposte e molta burocrazia.
Si sta parlando ovviamente non soltanto della riorganizzazione dell’ente provinciale, ma di un vero e proprio ridisegno complessivo degli assetti istituzionali, coerente con il fatto che oggi, quando si parla di competitività, si intende proprio la competitività complessiva di un territorio, vero fattore fondamentale della produzione di ricchezza, della sua distribuzione e quindi della qualità della vita.
Se non altro la mossa del Governo permette finalmente di provare a ragionare concretamente sulla riforma degli assetti istituzionali.
In questo quadro non si può non cogliere come una notizia positiva la nascita di un comitato a favore della Provincia Emilia, in modo da riorganizzare la nostra regione sulla base di due province, l’Emilia e la Romagna, e di una città metropolitana, Bologna.
Questo buon progetto di razionalizzazione naturalmente ha bisogno di stimoli, e a sua volta ne genera, sia verso la riorganizzazione dei comuni, che verso il tema Regione e Stato.
Ora ci aspettiamo che regioni ed enti locali facciano la loro parte e ci auguriamo che in Emilia Romagna, terra di tradizioni riformiste, si contribuisca innovando, progettando e costruendo il futuro assetto di governo territoriale quale esempio da proporre a livello nazionale.
Una riforma forte sarebbe indispensabile, sia per il merito dei suoi effetti positivi per i cittadini e le imprese, sia come stimolatrice di una più ampia rivoluzione nel governo del territorio.
Nella nostra Regione le Unioni dei Comuni sono servite per condividere dal punto di vista amministrativo la gestione dei servizi associati, ma non sono in grado di produrre un cambiamento profondo, che può avvenire solo con un vero e proprio salto verso la fusione/unificazione dei comuni, al fine di superare problemi di efficacia, di efficienza e di democrazia.
Tutte queste considerazioni: riassetto delle province, riforma dello Stato, analisi dei problemi di governance e democrazia delle Unioni, ci spinge e a sostenere fortemente, insieme alla provincia Emilia, l’apertura di un dibattito serio sulle fusioni e unificazioni dei comuni. Esistono peraltro alcune esperienze nella nostra stessa regione, e le fusioni sono previste nella stessa legislazione regionale sulle Unioni oltre che nella legislazione nazionale.
Interessante è anche il dibattito che si è aperto – messo in luce da un recente servizio della Gabanelli – sull’unificazione degli 8 comuni che amministrano l’Isola d’Elba.
Guardiamo anche in questo campo alle migliori esperienze europee (quasi ovunque comuni e province o altri enti di coordinamento sono stati riformati, ridotti, riorganizzati).
Nella Germania Federale i comuni erano addirittura 24.476 e sono stati drasticamente ridotti. Ogni Land ha utilizzato le ricette ritenute più convenienti per gli accorpamenti. In Baviera è stato individuato un comune-guida per ogni comprensorio sul quale intervenire, affidando ad esso i compiti fondamentali dell’amministrazione. In Nordreno-Westfalia si è proceduto a fusioni vere e proprie con l’obiettivo di base di creare comuni con almeno 5mila residenti nelle aree agricole e con almeno 25mila in quelle industriali. La Danimarca hanno ridotto i comuni da 1.388 a 275 (e le province da 22 a 14), il Belgio da oltre 2.500 è passato a meno di 600, nel Regno Unito da 1.830 autorità locali si è scesi a 486.
La forma delle istituzioni non è un dato di natura. La globalizzazione e la crisi impongono un ragionamento serio. Altrimenti, si rischia soltanto di andare verso le elezioni non parlando un linguaggio di verità, che è l’origine di ogni populismo. E’ il rischio che stiamo correndo.
Per questo come Riformisti Insieme sosteniamo il progetto di Provincia Emilia, nella speranza anche che sia utile per inaugurare una nuova pagina del dibattito politico su questi temi”.