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Confapi Bologna contro i pagamenti “ad libitum”

Da alcuni giorni molti imprenditori bolognesi hanno una preoccupazione in più. A procurarla non un concorrente cinese, non il fisco, non gli istituti di credito e neanche la FIOM, ma molto più semplicemente i loro clienti bolognesi nonché colleghi imprenditori. Alcuni grossi complessi del nostro territorio infatti stanno inviando ai loro fornitori una comunicazione nella quale si avverte che i termini di pagamento passeranno da 60 a 120 giorni con tutta una serie di orpelli aggiuntivi per i quali sarà facile raggiungere i 150 giorni. Fermo restando che i pagamenti avverranno indicativamente il giorno 10 del mese successivo alla scadenza. In qualche caso questi grossi complessi del territorio, per agevolare i loro fornitori, hanno stipulato apposite convenzioni con società di factoring (peraltro controllate da quegli stessi istituti che sono estremamente restii a concedere linee di credito alle PMI) che consentiranno di scontare le fatture a costi agevolati. Costi aggiuntivi che, evidentemente, dovranno essere sopportati dal fornitore. Questa operazione, a dir poco arrogante, è giustificata con la necessità di adeguarsi alle tendenze di mercato. Come dire, “così fan tutti”.

Del fatto che sia vigente in Italia una legge sulla subfornitura che preveda pagamenti a 60 giorni non c’è la benché minima considerazione.

Questi fenomeni sono di una gravità enorme. Infatti delle due l’una: o questi gruppi industriali sono in difficoltà finanziarie enormi (ma, in questo caso, non avrebbero spedito circolari imperative) oppure siamo di fronte ad una operazione che tende ad incrementare le marginalità vessando le piccole e medie industrie del loro indotto. Ovvero quelle imprese che con la loro efficienza e la qualità del loro lavoro hanno contribuito, e non poco, ai successi di quei gruppi industriali.

È questa l’etica di cui tanto spesso sentiamo parlare i soloni della grande industria? È questo il modo in cui la grande impresa aiuta la piccola a crescere e a migliorarsi? È questa la comunanza di interessi che dovrebbe rendere plausibile una unica rappresentanza di tutta l’industria, piccola, media o grande che sia?

Siamo assolutamente sicuri che ci sia più comunanza di interessi tra gli imprenditori che hanno ricevuto queste comunicazioni e i loro dipendenti che, insieme, pagheranno il prezzo di tali belle iniziative. Quando qualcuna di queste piccole imprese dovrà chiudere, dovremo anche sorbirci la favola delle PMI che non sono pronte a competere sul mercato globale, mentre la grande impresa sì che ci riesce. Per quanto ci riguarda continueremo a difendere le PMI dall’arroganza di chi le vede solo come carne da cannone, da sfruttare, in azienda, per far tornare i conti e in associazione per far pesare i numeri. Favoriremo d’altra parte le filiere virtuose che aggreghino le nostre PMI a quelle aziende che, forse perché non sono nate grandi, ma lo sono diventate, mantengono il rispetto per chi, giorno dopo giorno, fa impresa assumendosene il rischio e la responsabilità.
















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