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‘Giorno della Memoria’: Caliandro, Presidente del Consiglio provinciale di Bologna

Il discorso  di  Stefano  Caliandro,  presidente  del consiglio
provinciale  di  Bologna,  tenuto oggi nel corso della seduta congiunta dei
Consigli comunale e provinciale in occasione del “Giorno della Memoria”.

“Saluto   con  gratitudine  tutti  gli  ospiti,  autorità,  amministratori,
cittadini  che  hanno  accolto  l’invito  a  partecipare  a  questa  seduta
congiunta  dei  Consigli  Provinciale  e  Comunale per rendere omaggio alla
Giornata  della  Memoria. Un particolare ringraziamento, mi sia consentito,
sento   di   doverlo  al  Sindaco  Mauthausen  Thomas  Punkenhofer  per  la
disponibilità  e  la  sensibilità  che  ha dimostrato volendo partecipare a
questa  seduta  solenne.   Il  fatto  che  l’importanza  di questa giornata
costituisca un patrimonio culturale non solo italiano ma internazionale non
cancella  la  macchia  di  colpa  che  la Shoah ha rappresentato nel secolo
scorso  e  che,  purtroppo, non pare essere stata sufficientemente colta se
ancora  oggi  esistono  teorie  negazioniste  che non si iscrivono solo nel
ventaglio delle ricostruzioni storiche possibili, ma rappresentano una vera
e propria posizione politica.

Trovo  sinceramente  molto  preoccupanti le parole del  Presidente iraniano
Ahmadinejad  che,  anche  in  questi  giorni, non ha mancato di minimizzare
l’atroce  vicenda  che  oggi  invece,  in  questo  Consiglio,  non vogliamo
dimenticare.   E’  per questo motivo che,  rivolgendomi anche alle Comunità
iraniane  presenti  nel  nostro  Paese,  credo  che competa anche a loro il
dovere  di  risvegliare le coscienze civiche e promuovere il rispetto per i
morti  che  la  tragedia nazifascista ha consegnato alla memoria del secolo
scorso.  Credo  che  sia opportuno denunciare non solo coloro i quali nelle
Scuole,  nelle Università e nei siti Internet minimizzano la tragedia della
Shoah,  ma  occorre  dunque superare i pregiudizi attraverso la  promozione
della  conoscenza  e della cultura. Efficacemente, infatti, Bertolt Brecht,
partendo   dall’autocritica,   ha   costruito   un   megafono   di  libertà
sottolineando  come  tutti  i  perseguitati,  fossero  essi zingari, ebrei,
omosessuali,  comunisti  e  non,  abbiano  lasciato  in  un  primo  momento
indifferenti e successivamente inermi coloro i quali non ebbero il coraggio
di opporsi fin da subito allo scellerato progetto hitleriano.

Da  questo  punto di vista mi sia concessa una digressione emotiva. E’ vero
infatti che la visita al campo di concentramento di Mauthausen, che insieme
alla  Presidente Lembi, a Divo Capelli Presidente Aned e ad alcuni studenti
delle  scuole  superiori di Bologna abbiamo effettuato nel novembre scorso,
ha  rappresentato  per  me  un’esperienza  unica  per  la  profondità delle
emozioni  che  hanno  attraversato la coscienza di un trentenne cresciuto a
cavallo  tra  il  secolo  breve  e il nuovo millennio.  Nel corso di questo
viaggio,  attraverso  l’efficace  illustrazione  del Presidente Capelli, ho
avuto  la  possibilità  di  immedesimarmi nella tragedia di quelle famiglie
che,   deportate   verso   il  campo  di  concentramento,   si  sono  viste
progressivamente  spogliate  prima del rapporto affettivo che lega i mariti
alle mogli e i genitori ai figli e successivamente hanno subìto un processo
di     denigrazione     mirato     allo     svuotamento     totale    delle
individualità/personalità  di  ognuno, perpetrato sia attraverso la perdita
al diritto del proprio nome che attraverso la costrizione a lavori forzati.
Sono  ancora  scolpiti  nella  mia  memoria  i  binari  della  ferrovia che
attraversavano,  e  ancora  oggi  attraversano,  il  Danubio  per portare i
convogli   di  deportati  diretti  verso  il  campo  di  concentramento  di
Mauthausen.   Questo  fiume,   che  nell’immaginario collettivo dei giovani
nati e cresciuti nelle democrazie europee sorte dalle ceneri di Auschwitz è
oggi   uno   dei  paesaggi  naturalistici  più  belli  del  nostro  vecchio
continente,  ha  rappresentato, durante il delirio hitleriano, il perimetro
che  divideva  gli  uomini liberi dall’orrore delle camere a gas, dei forni
crematori,  della fame e della riduzione in schiavitù. Capisco quindi, oggi
più  di ieri, perché Primo Levi sentì la necessità di segnalare all’umanità
il dolore di chi lavora nel fango, di chi non conosce la pace, di chi lotta
per mezzo pane e di chi muore per un sì o per un no.

Questa per me è dunque la Giornata della Memoria!

E’  una  giornata  in  cui,  portando le emozioni dal cuore alla parola, si
ricorda  la  tragedia  che  ha  visto  perseguitati  ebrei,  rom,  sinti ed
omosessuali.  Il  27  Gennaio  di  ogni  anno, dunque, oltre a ricordare la
Liberazione  di  Auschwitz  abbiamo  tutti  il  dovere morale di promuovere
iniziative che aiutino a non dimenticare.

Siamo, dunque, tutti ambasciatori della Memoria della Shoah”.

















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