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Filippi (PDL): “liberalizzazioni, ma solo quelle che piacciono al PD”

In materia di liberalizzazioni e degli effetti che esse possono produrre nell’ambito locale, il Consigliere regionale del Pdl, Fabio Filippi, si è così espresso: “Credo che per liberalizzare veramente l’economia bisognerebbe privatizzare, ossia ridurre il peso dello Stato nei troppi settori in cui è ancora presente, a cominciare dalle aziende Municipalizzate. L’effetto conseguente sarebbe quello di incassare risorse per abbattere il debito pubblico. A Reggio Emilia non mancano certo i casi di cattiva amministrazione di aziende pubbliche, di bilanci in rosso ripianati attraverso l’aumento delle tariffe, a cominciare da Iren e da Act; quest’ultima è stata salvata, per un niente, dal fallimento, attraverso un’operazione industriale di carattere interprovinciale, ma destinata a rimanere nell’ambito della gestione pubblica dei servizi e quindi a rischio di un nuovo fallimento”.

In ordine al recente Decreto legge, in materia di liberalizzazioni, approvato dal Governo Monti, il Consigliere regionale del Pdl, Fabio Filippi, ha dichiarato: “In realtà il Decreto Legge sulle liberalizzazioni potrebbe esse definito un ‘Decretino’, stante la limitatezza dei provvedimenti assunti: in materia di liberalizzazione del mercato del lavoro tutto è rimasto come prima. E’ stato messo da parte anche il provvedimento di scorporo della Rete Ferroviaria Italiana (la società che gestisce l’infrastruttura ferroviaria) dal Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A; provvedimento che il Governo ha deciso di rinviare, delegandolo ad una nuova Authority dei Trasporti. La stessa sorte ha subito il progetto di scorporo di Bancoposta da Poste Italiane. Anche in materia di liberalizzazione della distribuzione dei carburanti il Governo ha tirato i remi in barca: nel provvedimento, infatti, la libertà di comprare sul libero mercato il carburante è stata limitata al 50 per cento dell’erogato e riconosciuta solo ai gestori che sono anche proprietari degli impianti; proprietari che sono solo cinquecento in tutta Italia. Pure nel campo bancario ed assicurativo le liberalizzazioni sono di scarso rilievo: nel campo assicurativo non si è proceduto al superamento del mandato unico, per dare la possibilità agli intermediari di vendere più marchi; l’obbligo, da parte delle assicurazioni, di presentare al cliente tre polizze alternative alla propria, non contribuirà a diminuire i prezzi delle polizze e quindi non avvantaggerà realmente i cittadini; se infatti gli agenti sono obbligati a vendere solo le polizze del loro gruppo, è evidente che punteranno a farle figurare sempre più vantaggiose rispetto alle altre presentate; nel settore bancario non si è giunti nemmeno ad abolire commissioni che il cliente paga nel momento in cui, usufruendo del servizio Bancomat, si serve di uno sportello diverso da quello della banca che ha emesso la carta. E’ finita nel cassetto anche la norma che stabiliva un nuovo regime sulle concessioni delle spiagge, limitandone la durata a quattro anni. Pur con questi limiti nel Decreto approvato dal Governo Monti è prevista la liberalizzazione di alcuni settori significativi della nostra economia. Storicamente la sinistra è sempre stata contraria alle liberalizzazioni in economia, in quanto considerate un grimaldello attraverso il quale il grande capitalismo intendeva entrare in un mercato in precedenza assegnato in regime di monopolio alle aziende pubbliche, come nel caso delle risorse idriche ed energetiche. Stranamente però, questa volta, i referendari, i fautori della statalizzazione di tutto e di più, sono rimasti in silenzio: hanno rimesso nel cassetto le loro bandiere ed i loro striscioni, ed hanno ingoiato il rospo. Anche il precedente Governo Berlusconi aveva previsto un disegno di legge che prevedeva un piano di liberalizzazioni; ciò al fine di contrastare i monopoli, incentivare la concorrenza sui mercati e quindi favorire la creazione di servizi migliori e a prezzi inferiori, nell’interesse dei cittadini: contro quel piano però, a differenza di oggi, si scatenarono le ire dei comunisti”.
















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