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Reggio Emilia: l’economista Francesco Daveri martedì alla Gabella di via Roma

Tra i temi centrali su come la nostra comunità riuscirà a fare fronte alla crisi economica c’è sicuramente la relazione tra lavoro e globalizzazione, anche in relazione al mercato del lavoro che produce immigrazioni economiche: dagli stranieri che lavorano in Italia fino a tutti gli italiani che lavorano all’estero. Per questo alla Scuola di Etica e Politica “Giacomo Ulivi” della Gabella martedì 29 novembre alle ore 21 sarà ospite l’economista Francesco Daveri che ha da poco dato alle stampe un saggio sull’argomento: “Tutto nel mondo occidentale sta diventando globale – sottolinea Daveri – anche il lavoro. Questo è un problema politico che ogni governo è chiamato a gestire con grande attenzione”.

DAVERI. Francesco Daveri ha collaborato con la Banca Mondiale, il Ministero dell’Economia e la Commissione Europea. Scrive sul Sole 24 Ore e sul Corriere della Sera ed è membro del Comitato di redazione de LaVoce.info. La sua attività di ricerca riguarda soprattutto la relazione tra innovazione, produttività e crescita. Oltre a numerosi articoli su riviste internazionali e italiane, ha scritto Centomila punture di spillo con Carlo De Benedetti e Federico Rampini (Mondadori, 2008), e Innovazione cercasi (Laterza, 2006). E’ professore ordinario di Politica Economica presso l’Università di Parma e insegna anche nel programma MBA della Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi. Daveri martedì 29 novembre alle ore 21 presenterà il volume: “Stranieri in casa nostra. Tra immigrati e italiani tra lavoro e legalità”.

IL SAGGIO. Gli stranieri in Italia sono 5 milioni, l’8% della popolazione. Erano un milione nel 1996, sono aumentati del 400% tra il 2000 e il 2008 e hanno contribuito alla rivoluzione demografica che ha riportato la popolazione italiana a tassi di crescita da anni Cinquanta. Nel 75% dei casi svolgono un lavoro regolare e non pesano più degli italiani sul sistema di welfare. Le loro rimesse verso i paesi di origine, nel 2008, ammontavano a 6 miliardi di euro. Daveri suggerisce che il recente calo della criminalità potrebbe essere dovuto all’attenuazione degli effetti perversi dell’indulto più che alla stretta sugli stranieri ed evidenzia il circolo tutt’altro che virtuoso tra irrigidimento, istituzionalizzazione dell’irregolarità, crescita della criminalità, sanatoria e ulteriore stretta. Ritiene, invece, che gli immigrati vadano esposti agli incentivi giusti. Se il nostro paese è tra i peggiori in Europa per chi vuole fare impresa ed è percepito come il più permissivo verso la criminalità attirerà più facilmente un delinquente che un imprenditore. Una prova indiretta che una selezione avversa è in moto è il fatto che il reddito medio dei paesi da cui provengono gli immigrati italiani è un terzo di quello degli immigrati che hanno scelto Germania e Regno Unito e, nell’ambito della stessa comunità nazionale, gli immigrati in Italia sono meno istruiti degli altri (tra gli albanesi d’Italia l’analfabetismo è doppio rispetto agli albanesi di Spagna). Insomma, se ci sono poche speranze di arginare i flussi, avere meno stranieri a casa propria significa integrare meglio quelli che ci sono. Dal momento che i peggiori risultati scolastici degli stranieri, secondo l’Ocse, sono dovuti all’eccessiva concentrazione di immigrati nelle classi e al fatto di non parlare la lingua del paese ospite in famiglia, Daveri suggerisce politiche contro la creazione di quartieri ghetto, contro le classi separate di stranieri e a favore di ragionevoli quote in classe e dell’apprendimento dell’italiano nei primi anni d’età. Anche perché le statistiche dimostrano che gli stranieri che studiano di più, arrivando a frequentare il liceo, non delinquono più dei pari età italiani.

















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