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I ticket in Emilia-Romagna sono iniqui: associazioni e famiglie scrivono al presidente Vasco Errani

Il recente provvedimento della Regione Emilia-Romagna in merito ai nuovi ticket per farmaci, visite ed esami non è equo. Non tiene conto, infatti, delle diverse composizioni delle famiglie; considera soltanto il reddito complessivo lordo trascurando altri redditi non soggetti ad imposta; non applica i criteri dell’Isee.

La denuncia è di un gruppo di associazioni e comunità di famiglia presenti sul territorio (Associazione Venite alla Festa, Famiglie per l’accoglienza, Centro di solidarietà, Centro culturale Francesco Luigi Ferrari, Comunità Casa Regina della Famiglia, Comunità familiare Della Tenerezza e Comunità Cooperativa sociale Paideia), che hanno inviato una lettera al presidente Vasco Errani chiedendo di aprire un tavolo di lavoro congiunto tra Regione e associazionismo sull’esempio di quanto si sta facendo su altri provvedimenti «pur consapevoli della complessità del problema» soprattutto in un periodo di crisi economica e di tagli agli enti locali.

«La qualità del benessere di una persona dipende, nel bene come nel male, anche dal proprio nucleo familiare – si legge nella lettera inviata ad Errani –. Ciò è tanto più vero se si considera la situazione economica. È facilmente intuibile che uno stesso reddito, ad esempio di 20.000 euro, ha un impatto diverso se il nucleo familiare è composto da una sola persona piuttosto che da 2, 3 o più persone. Questa regola elementare è stata completamente ignorata dal provvedimento regionale in quanto si considera il reddito complessivo lordo del nucleo familiare fiscale sul fronte della produzione del reddito e non su quello della sua redistribuzione».

Un altro problema riguarda la natura del reddito: «Si continua a considerare il solo reddito complessivo lordo – denunciano le associazioni – mentre sul fronte delle entrate ci sono altri redditi non soggetti ad imposta che tuttavia concorrono a formare il cosiddetto reddito netto. Colpisce anche il fatto che non si faccia riferimento ad un anno specifico per cui paradossalmente una persona potrebbe autodichiarare un reddito degli anni in cui c’era ancora la lira». I firmatari della lettera si chiedono perché non sia stata applicata la legge regionale 2/2003 che, pur pensata per l’ambito sociale, prevede l’utilizzo del cosiddetto Isee (indicatore della situazione economica equivalente) che oltre a considerare i redditi considera anche il patrimonio, in quanto concorre a definire la situazione di ricchezza o meno di un soggetto, e soprattutto prevede un coefficiente numerico basato sulla numerosità e sulla composizione del nucleo familiare che consente, appunto di confrontare famiglie diverse.

Un altro fattore di iniquità è rappresentato dal numero esiguo delle “fasce”: «una tariffazione progressiva per classi di reddito – continua la missiva – è tanto più iniqua quanto minore è il numero della fasce in quanto un cittadino con una situazione economica di poco superiore al limite previsto dalla soglia si trova a pagare tanto quanto il cittadino con una situazione economica di poco inferiore al limite superiore dello stesso scaglione».

Infine le associazioni chiedono al presidente della Regione un chiarimento su come sono stati individuati i valori soglia delle fasce se cioè «tengano conto della reale situazione in Emilia-Romagna sia per quanto riguarda la distribuzione del reddito sia rispetto alle diverse tipologie di cittadini dal punto di vista dello stato di salute quindi della necessita di farmaci, visite, esami».

«Per evitare di aumentare il grado di iniquità già presente nella società regionale, tra l’altro acuito dalla perdurante crisi economica – conclude la lettera – si ritiene necessario un lavoro congiunto tra Regione e Associazionismo, sull’esempio di quanto si sta facendo su altri provvedimenti, anche per evitare facili scorciatoie come quella adottata in altre Regioni che hanno lasciato al cittadino la facoltà di scegliere tra reddito individuale e reddito familiare in base ad un proprio calcolo di convenienza. Niente è più iniquo che fare parti uguali tra diseguali».

















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