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‘Sostenibilità e innovazione ambientale e sociale’, Università a confronto

Al Festival Green Economy di distretto la domenica mattina è stata dedicata all’ultima tavola rotonda del programma, durante la quale, dopo imprese, associazioni di categoria, istituzioni, si sono confrontate sull’idea di economia green le Università, con idee, progetti e concezioni innovative del tema.

Moderati da Ettore Tazzioli, direttore di Trc, hanno partecipato Chiara Mio dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, Mark Brusati, dell’Università C. Cattaneo di Varese, Anna Meroni del Politecnico di Milano. L’approccio è stato interdisciplinare, perché al tavolo erano riuniti esperti di economia, di programmazione territoriale, di design

Ma il punto comune di tutte le analisi è il cambio di mentalità che un’economia realmente “green” impone, non solo nel tipo di prodotti ma nello stesso modo di interscambio di idee, comportamenti, esperienze delle comunità.

Secondo Chiara Mio “non esiste più la quantificazione del risultato d’impresa attraverso il fatturato o più empiricamente ancora, camion che partono dal magazzino: l’imprenditore ora sa che essere più grande non è necessariamente un vantaggio. Bisogna vedere come si produce, dare valore ai beni comuni. Pensiamo cosa vuol dire oggi essere un’impresa incurante della comunità: vivibilità, qualità dell’aria, rumore sono cose che entrano pesantemente nella politica aziendale, perché trascurare queste cose può avere impatti negativi fortissimi sulla comunità e di conseguenza su lavoro e produzione. L’impresa è ospitata su un territorio, i suoi lavoratori sono anche cittadini e consumatori, oggi più che mai attenti a questi temi. La sostenibilità dell’impresa quindi non è più una casacca verde (“green washing”). Il tema vero investe tutti i processi, tutte le imprese e l’intero sistema. Le più sensibili sono le imprese business to consumer, chi ha rapporto più diretto col consumatore. Chi lavora business to business viene comunque trascinato in questo processo dai contatti nel sistema.

Less is more è la nuova idea: i rifiuti che produco, per esempio sono cose che ho pagato e butto via; il packaging meno invadente vuol dire meno costi.

Si ragiona non più in rapporto antagonista ma in ottica life cicle fra tutte le aziende della filiera, fino al consumatore finale: non si pensa al proprio particolare, si diventa partner verso un risultato finale positivo. La dinamicità e la capacità di adattamento delle imprese a questo nuovo approccio diventa determinante per la loro stessa sopravvivenza: non si salva il dinosauro ma il camaleonte. E non si vince da soli, ma in sistema”.

Mark Brusati ha parlato di sostenibilità come “concetto interdisciplinare”.

“E’ lo sforzo collettivo per evitare la rottura di qualsiasi sistema economico sociale territoriale. Non è un equilibrio perfetto. Un impatto c’è sempre, in qualunque attività e comunità, la direzione della sostenibilità è cercare di ridurre gli impatti a un livello sopportabile per tutti i soggetti. Nel mondo attuale, globalizzato, alcuni paesi si basano su benefici di costo (sconti, deregulation che attraggono investimenti ma gli impatti sono alti su salute e ambiente); altri, tra cui l’Italia, puntano o dovrebbero puntare sul vantaggio competitivo. Competere sulla qualità, distinzione, specificità: l’Italia ha tutti gli ingredienti per questo tipo di sfida. Come Università ci occupiamo del rilancio di piccoli luoghi, paesi, comunità geografiche: cerchiamo la partecipazione di tutti i soggetti e proponiamo progetti “bussola”, nel senso che indicano una direzione senza fornire tutte le ricette. I macro-ambiti sono habitat, comunità, ethos (valori, abitudini), business (capitale umano, risorse, potenzialità). Si individua il posizionamento del luogo su una curva e si elabora una strategia a 25 anni per elevarne il risultato. Programmando lo sviluppo di questo piano direttamente insieme alla comunità, valutandone pregi e situazioni da modificare e rilanciare”.

Anna Meroni, della facoltà di design industriale del Politecnico di Milano, ha spiegato come si sta modificando l’idea di design: non solo ottimizzazione estetica dei prodotti, ma una dimensione diversa che presta molta più attenzione ai comportamenti. In una concezione più ampia oggi il designer trae spunti da tante realtà per cambiare i paradigmi, agire sui comportamenti prima che sui.

“Creatività – ha spiegato – sono le banche del tempo, i micronidi, il car sharing, lo scambio di case.

Molte esperienze in cui i confini fra business e social, profitto e volontariato diventano labili. E’ questione di cambiare approccio. Nuovi scenari replicati in altri contesti possono fornire soluzioni a situazioni che vediamo. Si attinge dalla creatività sociale e presente con diverse esperienze in tutto il mondo mettendola a progetto e facendola diffondere”.

Anna Meroni ha portato ad esempio il progetto “Milano nutre se stessa”., che partito dai “Mercati della terra”, produzione e vendita di prodotti ortofrutticoli coltivati alle porte di Milano, sta costruendo una rete di legami, fiducia, collaborazione, convivialità. “Accorciare la filiera – ha spiegato – non ci sta aiutando solo come idea di costi minori ma anche per favorire l’incontro e sviluppare progressivamente altri progetti in comune. Design oggi è anche fare questo. Inventarsi strumenti di interazione, far nascere nuove idee. Mettere la propria capacità progettuale al servizio del cambiamento.
















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