“E’ noto che l’ammontare del debito del nostro Paese ha raggiunto l’iperbolica cifra di 1.911.000 miliardi di euro. Più del 50% di questa somma è prestata allo stato dalle famiglie italiane con noti strumenti finanziari. L’importo del debito, pur importante, potrebbe non rappresentare un problema se la crescita economica del nostro Paese viaggiasse con un PIL in aumento del 2% all’anno e contestualmente si attuassero misure di equilibrio di bilancio. Sono proprio questi due ultimi elementi che non ci sono”. Inizia così l’intervento del Segretario Provinciale Confartigianato imprese di Reggio Emilia, Mauro Garlassi.“La preoccupazione di famiglie e imprese è salita alle stelle, come pure la credibilità del sistema Italia nel contesto internazionale. La sottoscrizione del debito Paese sarà sempre più onerosa e produrrà ulteriore aumento del debito.
Chi ammazza la competitività delle imprese
La globalizzazione dei mercati ci è sempre stata presentata come una meravigliosa opportunità per la nostra crescita complessiva. Miliardi di nuovi consumatori che avrebbero apprezzato i prodotti del secondo Paese manifatturiero d’Europa (noi). Con l’aggiunta della nostra simpatia e del MADE in Italy avremmo proprio “spopolato”. Peccato che le cose non girino esattamente cosi!
Ma come è possibile che un popolo come il nostro, nonostante la tassazione mostruosa e le riconosciute capacità imprenditoriali, non ce la possa fare?
La risposta è complessa, ma possiamo sintetizzarla così: quella globalizzazione di cui si parlava è una farsa. Non ci sono regole comuni tra i partecipanti agli scambi commerciali. Gli scambi di beni e servizi viaggiano oggi alla velocità della luce o al massimo di pochi giorni, ma la piccola-media impresa italiana che compete con l’imprenditore cinese o indiano deve portarsi sulle spalle, durante la corsa competitiva, uno zainetto fatto di molte spese: Irpef, Irap, Ici, addizionale comunale, regionale, Inps, Inail, Camera Commercio, Sistri, TV, Siae, sicurezza, emissioni in atmosfera, haccp, ecc. Tutte tasse indispensabili per mantenere i nostri livelli di welfare.
E come fa a competere? E’ già molto se riesce a stare in piedi! Uno così non può certo correre! E quali misure hanno intrapreso le nostre “teste d’uovo” a livello europeo su proposta dei nostri parlamentari? Quasi nessuna. Encefalogramma piatto.
La discussione è ferma al come succhiare il sangue ad un corpo ormai esanime.
I paesi così detti emergenti aumentano annualmente il proprio PIL del 9, 10% e noi del 0,3%. I paesi europei più virtuosi dello 0,6%. Era così difficile prevedere che senza regole condivise la globalizzazione avrebbe ammazzato proprio quei paesi con la più alta tradizione manifatturiera? E’ possibile metterci una pezza? Forse sì. I prodotti provenienti da paesi extraeuropei che non garantiscono ai loro cittadini uno standard di welfare minimo, devono essere gravati di un dazio che andrà progressivamente a diminuire nel tempo man mano che le regole sul lavoro andranno ad assomigliarsi.
I semilavorati che aziende europee commissionano all’estero, nella fase di ingresso in Europa, devono essere gravate da una sorta di tassa di compensazione.
Non possiamo pagare noi la cassa integrazione e arricchire gli altri.
Se si ferma la produzione di beni non vi saranno risorse per nulla e diventerà perfettamente inutile trovare alchimie finanziarie per tenere in piedi un sistema troppo sbilanciato. Senza lavoro produttivo ci si impoverisce e basta.
Credibilità del Paese e manovra finanziaria
Tutti abbiamo assistito al teatrino di provvedimenti proposti dal Governo il mattino e cancellati alla sera. Tutti abbiamo sentito cifre che sono poi mutate nel corso di qualche giorno. Il cittadino medio, il piccolo imprenditore, si chiede: lo sono o lo fanno?
Cosa si puo’ fare? Molto. C’è un apparato costituito da enti pubblici nazionali, enti pubblici locali, Parlamento che va ridotto drasticamente. Questo deve essere l’obiettivo, seppure da raggiungere con gradualità. Ci sono poi abitudini consolidate nella pubblica amministrazione di pagare i fornitori a 360 giorni. E’ inaccettabile.
Il patto di stabilità oltre a limitare fortemente gli investimenti delle amministrazioni locali, anche quelle più virtuose, impedisce il regolare pagamento di opere già realizzate alle imprese. Le difficoltà, soprattutto per il settore edile, sono facilmente immaginabili. Non si può fare di ogni erba un fascio, bisogna applicare limitazioni solo alle amministrazioni con spesa fuori controllo. L’attuale situazione di mancati investimenti e regolarità di pagamenti, sia a livello locale che nazionale, genera l’effetto del freno a mano tirato nel settore edile e attività collegate.
Bene la riforma sulle pensioni, bene far pagare un po’ di più a chi ha molto, bene dare maggiore spazio ai contratti di lavoro a livello locale, ma sono misure ancora insufficienti per il rilancio di un Paese.
C’è un tema da affrontare con molta serietà: si chiama EVASIONE.
Questo è il vero problema irrisolto!
Se non vogliamo rischiare di mettere un finanziare davanti ad ogni condominio e ad ogni azienda occorre rivedere drasticamente la dinamica che avviene tra chi cede i beni o i servizi e chi li acquista. Se il cittadino che acquista non è incentivato a pagare l’iva, perché nulla può recuperare in dichiarazione redditi, è facile che la tentazione di evadere sia più forte del senso civico.
E sicuramente non bastano le campagne pubblicitarie contro l’evasione.
Cominciamo a consentire ai cittadini di poter detrarre almeno le spese più ricorrenti in dichiarazione: meccanico, idraulico, tinteggio, lavori eseguiti presso la propria abitazione, acquisto tv, pc ecc. fino ad un importo annuo di almeno 8.000,00 euro.
Un sano conflitto di interessi aiuta ad una maggiore responsabilità.
Le imprese aderenti a Confartigianato – conclude Garlassi – non hanno smesso di credere nel valore del lavoro e nella tenuta complessiva del sistema Paese, ma richiedono atti concreti per tutelare chi ha voglia di fare rischiando in proprio”.