“La povertà è la madre dell’architettura giapponese”. Parte da qui Kengo Kuma, il maestro dell’architettura giapponese contemporanea, ospite alla Galleria dell’Architettura per la 29° edizione di Cersaie. Materiali poveri, quelli del luogo. E un atto di rispetto costante nei confronti della natura, tanto da diventare un dialogo. Non c’è presunzione nei suoi progetti. C’è la perenne sfida dell’uomo nel dare un senso ai luoghi, adattarsi a loro, sfruttandone e allo stesso tempo domarne il potere. Il potere dei luoghi, appunto, è il titolo della lectio magistralis che Kengo Kuma ha tenuto questo. Un grande protagonista dell’architettura mondiale, autore di alcune tra le opere più importanti e ardite realizzate sul suolo giapponese e non solo, tra cui la “Water/Glass House” di Shizuoka e il “Toyoma Center for Performance Artes” di Miyagi, lo “Stone Museum” di Tochigi e il Nezu Museum di Tokyo.
Filo conduttore delle opere, per un’artista che sta seguendo attualmente diversi grandiosi progetti tra Cina ed Europa (vale la pena ricordare l’Arts Centre di Besançon, in Francia, e il Performing Arts Centre di Granada, in Spagna), il “vuoto”, che con Kengo Kuma entra a far parte a pieno titolo dell’architettura, al pari degli altri materiali da costruzione.
Ad aprire l’evento è stato Franco Manfredini, presidente di Confindustria Ceramica: “Il mondo della ceramica è sempre più vicino al mondo dell’architettura”, ha detto. “Grazie all’innovazione c’è stata un’evoluzione che ha portato la ceramica per l’edilizia ad essere utilizzata in vari ambienti e a colloquiare in modo sempre più stretto con il mondo dell’architettura. È quello che cerchiamo di fare inserendo questi importanti incontri del ciclo di eventi Costruire, Abitare, Pensare all’interno di Cersaie”, ha aggiunto.
“Chiunque vuole conoscere un pezzo di storia dell’architettura contemporanea non può ignorare ciò che i giapponesi hanno realizzato negli ultimi anni”, ha spiegato Francesco Dal Co, Architetto e Professore di storia dell’architettura, della IUAV di Venezia, che ha introdotto la lezione di Kuma. “Un’architettura a disposizione della modernizzazione del Paese che significa essere al passo coi tempi ma scoprire anche che questi tempi hanno radici profonde nel passato. In ogni espressione della contemporaneità del Giappone vi è qualcosa di profondamente antico. È un popolo completamente aperto alla novità, ma nello stesso tempo consapevole che non si può davvero cambiare. Questo è il segreto del fare giapponese, in un divenire che non si arresta mai che non ha paura di ripetersi e di riprodurre le conoscenze”, ha sottolineato il professore. “Tipico di tutti i grandi artisti è eliminare, togliere e creare cose belle perché appropriate”, ha aggiunto riferendosi al maestro Kenzo Kuma e alla sua passione per il materiale: “Quando si fa grande architettura bisogna sapere che ogni materiale ha le sue debolezze, che sono anche la loro forza. È forse questa la grandezza di Kenzo Kuma.
L’architetto giapponese ha introdotto il pubblico alla sua poetica essenziale ma potente, raccontando con l’aiuto di immagini, alcune delle sue opere più significative, dal progetto Water/Glass, che ha avuto origine da una piccola scatola di legno, alla Lotus house, realizzata con materiali leggeri, trasparenti. Dalla Bamboo house alla Ceramic Cloud.
“Cos’è il potere del luogo? – ha detto, illustrando il progetto per il Museo di Hiroshige Utagawa, artista giapponese da cui Van Gogh ha imparato molto e che combinava arte e ambiente. “Il museo si trova all’interno di un tipico villaggio, alle spalle c’è la montagna e sulle montagne un tempio. Nel 20° secolo le persone hanno cominciato a dimenticare la montagna. Allora ho cercato di progettare il museo come se fosse la porta alla montagna. Chiunque va al museo si trova di fronte alla montagna e al tempio. Il materiale è carta di riso, pietra, legno, quello delle montagne intorno, perché i carpentieri pensano che il legno migliore per la costruzione sia quello degli alberi delle montagne dietro al villaggio. Tutto è realizzato dagli artigiani del villaggio stesso che ci hanno aiutato tantissimo. In Giappone c’è un artigianato che rimane di altissima qualità, ovunque nel Paese”.