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‘ndrangheta Modena: i dettagli dell’operazione

Nel corso della mattinata odierna i Carabinieri del Comando Provinciale di Modena unitamente al G.I.C.O. della Guardia di Finanza di Bologna, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna, sono stati impegnati nell’esecuzione – in diverse Regioni italiane – di 7 Ordinanze di custodia cautelare in carcere, emesse dal G.I.P. presso il Tribunale di Bologna nei confronti di altrettante persone che impiegavano in attività economiche denaro proveniente dall’associazione mafiosa degli Arena operante in Isola Capo Rizzuto e dai delitti di estorsione.

I provvedimenti restrittivi scaturiscono da una lunghissima, articolata e complessa attività investigativa condotta dai Carabinieri del Reparto Operativo di Modena che ha consentito di accertare l’operatività e la presenza nella provincia di Modena di un sodalizio criminale anche finanziario al servizio dell’associazione mafiosa di Isola Capo Rizzuto, facente capo alla famiglia Arena.

Lo stesso Giudice ha emesso 25 misure cautelari reali nei confronti di altrettante persone con contestuale sequestro preventivo ex art. 321 C.P.P. dei seguenti beni: 5 immobili; 10 partecipazioni societarie; 1 terreno; 5 veicoli; 7 società a responsabilità limitata; 22 polizze assicurative per un importo di 300.000 euro; 43 rapporti bancari per un valore totale stimato in otto milioni di euro.

Sono state inoltre effettuate perquisizioni in varie province d’Italia (Modena, Parma, Reggio Emilia, Crotone) ed in Svizzera a Lugano

Gli arrestati sono F.G., 25enne, crotonese residente a Isola di Capo Rizzuto; T.G., 29 anni, crotonese, pure lui residente a Isola di Capo Rizzuto; G.M., nato a crotone 46 anni fa, residente a Maranello di Modena; D.P., 42 anni, pure lui nato a Crotone ma residente a Serramazzoni (Mo); E.P., nato a Crotone 47 anni fa e residente a Maranello; P.P., crotonese 35enne residente a Maranello, mentre è attualmente ricercato un commercialista di Lugano.

L’indagine nasce nell’agosto del 2006 a seguito dell’attentato dinamitardo avvenuto il 26.07.2006 in danno dell’ufficio di Sassuolo (MO) dell’Agenzia delle Entrate, le cui modalità di esecuzione erano apparse indicative di una possibile matrice mafiosa.

All’esito dei primi accertamenti è emerso che unico movente plausibile di tale attentato fosse l’attività di verifica fiscale condotta dalla suddetta Agenzia, che aveva consentito di evidenziare, per il periodo 2002-2005, un’evasione fiscale di oltre 90.000.000 €, nei confronti di una S.p.A. (poi fallita), con sede a Maranello (MO), operante nel settore della distribuzione e nella commercializzazione di prodotti informatici e riconducibile ai fratelli crotonesi P.P., D.P. ed E.P.

Venivano quindi documentati i rapporti intercorrenti tra esponenti di primo piano della cosca ndranghetista degli Arena  e P.P. – classe 1974 -. Il quadro indiziario delineato veniva successivamente confermato e rafforzato dall’esito delle operazioni tecniche condotte (intercettazioni telefoniche ed ambientali). Emergeva quindi una organizzata ed efficace attività di emissione ed utilizzo di false fatturazioni, ma soprattutto di riciclaggio di denaro, con particolare attenzione al reimpiego, in attività economiche, del denaro proveniente dall’associazione mafiosa degli Arena, operante ad Isola di Capo Rizzuto (KR), e dai delitti fine dell’associazione.

Il denaro era affidato al 35enne P.P. perché lo impiegasse nelle attività da lui gestite, tramite la S.p.A., che amministrava di fatto, e di una S.r.l., della quale era socio al 99% ed amministratore: entrambe le società gestivano un’ampia attività di fatturazioni per operazioni inesistenti, che garantiva compensi pari a circa il 6-7% dell’importo fatturato. Tramite l’attività di falsa fatturazione veniva creato uno schermo societario che consentiva di accedere abusivamente al credito bancario, di truffare le società di factoring e chiedere imponenti rimborsi indebiti per crediti IVA.

L’interesse della “famiglia” isolitana era chiaramente testimoniato dall’operato di T.G. – classe 1980 – (attualmente recluso per associazione mafiosa presso la Casa Circondariale di Catanzaro) e F.G. – classe 1984 – (figli di un esponente di spicco della cosca) che avevano progressivamente affiancato P.P. nella conduzione degli affari societari, gestendo le operazioni inerenti le false fatturazioni (cd. frodi carosello) ed impegnandosi nel recupero di somme di denaro da impiegare nelle suddette imprese.

Altra persona emersa in questa indagine risultava G.M. che prestava la sua opera a favore di P.P., per il quale era sempre a disposizione per ogni necessità, anche criminale. G.M. coadiuvava P.P. anche nelle varie attività illecite della S.P.A. (e delle altre società), consapevole dei legami che P.P. aveva con l’ndrangheta, per la quale reinvestiva il denaro. Chiaro sintomo della sua pericolosità è dato dal fatto che fosse sempre pronto a seguire P.P. anche nelle azioni punitive predisposte dal sodalizio criminale.

Le indagini dimostravano inoltre la centralità del ruolo di un commercialista svizzero residente ed operante in Lugano nell’organizzazione dell’attività illecita: questi consentiva a P.P. di servirsi di società straniere, senza formalmente comparire, rendendo molto difficoltoso qualsiasi collegamento documentale con lo stesso e le sue ditte (società fiduciarie, società con sede in paradisi fiscali – British Virgin Island).

Le indagini documentali interrelazionate da specifiche attività tecniche permettevano di evidenziare reiterati movimenti di denaro accreditato nei conti elvetici, esplicitamente funzionali ad una esportazione occulta e ad operazioni di reimpiego dello stesso, dimostrando ulteriormente l’importanza che il professionista svizzero ricopriva per le attività di P.P., anche per la competenza professionale che garantiva al servizio dei criminali.

Proprio per la rilevanza del suo contributo professionale, lo svizzero partecipava alle diverse attività gestite da P.P., assurgendo a ruolo primario nel sistema delle false fatturazioni, per il cui funzionamento era stata costituita a Lugano una società Ltd, che operava con la SPA nelle false fatturazioni già nell’anno 2004.

Gli elementi di prova emergevano sia sulle dimensioni che sulle modalità della falsa fatturazione: le operazioni commerciali erano veloci ed approssimative, tanto da risultare inverosimili ed al di fuori di ogni logica di mercato. Gli indagati dichiaravano infatti la disponibilità di numerosi pezzi di prodotti tecnologici che venivano compravenduti, tra di loro, in un battito di ciglia. L’attenzione degli indagati a tutte quelle procedure atte a dissimulare l’inesistenza del rapporto commerciale è quasi maniacale. Infatti ogni operazione doveva essere anticipata da una richiesta formale di vendita e da una successiva accettazione di acquisto, cosicché la facciata di legalità fosse preservata, salvo poi constatare che il duo commercialista – P.P., fosse da considerare il vero perno delle operazioni, sempre attento a dettare tempi e modi delle compravendite.

Quanto descritto concretizza un c.d. “frode carosello” che consente la costruzione artificiosa di falsi crediti IVA (attraverso l’interposizione fittizia di società intracomunitarie) e di bilanci artefatti, tali da consentire un’utile accreditamento di fronte alle banche per ottenere finanziamenti.

Le responsabilità penali del commercialista svizzero vanno ricondotte sia al concorso nel reimpiego che ai reati di bancarotta fraudolenta per il fallimento della S.p.A. Infatti in quest’ultimo caso, mediante la gestione della società elvetica, predisponeva una molteplicità di documenti fittizi (fatture, note di accredito, cessioni di credito, documentazioni bancarie utilizzate per provare pagamenti in realtà non avvenuti), che comportavano l’inattendibilità della contabilità nella ricostruzione del rapporto con la S.P.A., per un volume di affari di alcuni milioni di euro. Per il reimpiego il commercialista svizzero precostituiva una serie di documenti per operazioni fittizie e la destinazione estera di parte del denaro era ovviamente finalizzata ad occultare i movimenti effettivi dei soldi.

La vorticosa attività finanziaria e contabile estendeva il suo negativo influsso anche all’accesso al credito bancario. Le false fatture venivano utilizzate negli istituti di credito per ottenere cospicui anticipi di denaro, che venivano subito fagociati dal sistema illecito all’uopo costituito.

Sono in corso specifici accertamenti all’interno di istituti bancari tesi a verificare la presenza di c.d. “operazioni sospette” (ai sensi della normativa antiriciclaggio) non segnalate. Verrà interessata in tal senso anche la Banca d’Italia che potrebbe aprire attività ispettiva in proprio.

Nel perseguire i propri obiettivi l’individuato sodalizio criminale non esitava ad utilizzare metodi intimidatori e violenti. Espliciti sono i riferimenti all’ordigno esploso all’Agenzia delle Entrate di Sassuolo, che concordanti indizi individuano P.P. quale uno degli attentatori e la tentata estorsione ai danni dell’amministratore di una ditta perpetrata da F.G., T.G., G.M. e P.P.. Alla vittima sono stati riservati episodi di minaccia e violenza tesi a riottenere la somma di denaro che il predetto si era attribuito dal proprio conto corrente, utilizzato dal sodalizio nelle delitto di false fatturazioni.

















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