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Bamboccioni a chi? Storia di un 28enne disilluso

Il dibattito sui bamboccioni, termine usato dall’allora ministro Padoa Schioppa per indicare i ragazzi che vivono in casa troppo a lungo, è sempre d’attualità nei dibattiti politici. Un argomento complesso che può essere trattato in mille modi. Sassuolo2000 ha incontrato un ragazzo di 28 anni che vive ancora con la madre, lo fa perché senza lavoro, dopo 2 anni passati in somministrazione lavoro, termini elaborati per definire una posizione con meno retribuzione e meno diritti.

L’incontro con Federico (il nome è di fantasia) arriva dopo l’invio di un suo commento sul lavoro e sulla crisi che ha colpito il distretto ceramico; parole pesanti come pietre in cui racconta l’amarezza e la disillusione che possono colpire un 28enne che vive in una zona ricca, dove il lavoro non è mai stato un problema.

Federico è disoccupato da marzo, le prime parole sono di ringraziamento per la madre che gli “fa trovare un piatto di minestra ed un tetto caldo sotto cui dormire. Se così non fosse potrei esser tentato dal lavoro nero”. Negli ultimi 3 anni ha accettato contratti anomali, che prevedevano tra le voci del pagamento di quanto dovuto la voce “trasferta Italia”, un escamotage per eludere le tasse; un falso visto che il lavoro era a tre chilometri da casa ed ancora più grave era inquadrato come socio lavoratore della cooperativa, “giusto per rimetterci qualche diritto”. E non è finita qui perché “nella ditta presso le quali vieni somministrato, sei un esterno intercambiabile a chiamata, un caporalato morbido, quindi creando uno sbilancio di dignità”.

Lo stesso sbilancio di dignità che percepisci quando ti ritrovi in busta paga 850 euro, invece dei 1000 promessi visto che la differenza resta alla cooperativa, a fare lo stesso lavoro di operai assunti che ne prendono 1.400. “Bisogna capire se il caso di intervenire su chi presta il fianco all’esigenza, o chi la sfrutta – analizza con amarezza Federico – Io stesso, che lavoravo ad 850,00€ contro i 1.400,00 di un dipendente, rendo meno competitivo il loro operato. Chi va denunciato? Chi propone a proprio tornaconto o chi accetta suo malgrado?”.

La cosa paradossale è che Federico è diplomato, ha un passato da rappresentante, da falegname, scrive molto bene e legge molto, ultimo ma non meno importante ha ottenuto riconoscimenti in ognuna delle aziende per cui ha lavorato. Ma questo, oggi, non sembra bastare. Ha provato a bussare alle porte di Cerform per approfittare di eventuali corsi di formazione ma non rientra nelle categorie interessate; ha provato a cercare lavoro ma sono solo due le figure richieste: operai specializzati o lavoratori in mobilità. E’ chiaro che dopo aver lasciato la cooperativa non è in mobilità, e quindi le aziende che si trovassero ad assumerlo non avrebbero sgravi. Ed è così che sei fuori dal mercato del lavoro a 28 anni ma, per fortuna, con orgoglio e un pizzico di ottimismo: “Io non voglio nessun tipo di sussidio, non voglio assistenzialismo, non ho intenzione di fare il pensionato a 28 anni. Vorrei che invece di dare la caccia all’ultimo dei disgraziati si facesse qualcosa per strutturare meglio l’ingresso nel mondo del lavoro”.

E per chi se lo chiedesse l’azienda che ha impiegato il “socio lavoratore” era una delle più grandi ceramiche della zona, scusate, del mondo. Viene da chiedersi cosa può accadere in quelle piccole ma, forse, come insegna la storia di Federico proprio nelle piccole aziende le cose, almeno nel passato, funzionavano meglio. “Quando ho lasciato la scuola per guadagnare qualche soldo con l’idea di prendere il diploma alle serali, come poi ho fatto, ho lavorato sei anni da un falegname. Avevo dei datori di lavoro anomali, erano troppo buoni, dopo aver lavorato con loro mi ero creato un’idea troppo rosea della vita”.

E, purtroppo, il racconto potrebbe proseguire a lungo, ad esempio con i ricatti a cui è sottoposto un extracomunitario che si trovi nella stessa condizione e che, se perde il lavoro perde il permesso di soggiorno; potrebbe proseguire con il mobbing quotidiano, con i ricatti. Per oggi, ci fermiamo qui.
















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