“Spezzare una vita non l’aggiusta”, hanno scritto i ragazzi delle scuole reggiane. “Siete veramente speciali, grazie della vostra sensibilità a questo tema”, ha risposto Sister Helen Prejean, suora cattolica americana, testimonial della lotta contro la pena di morte, ai 400 ragazzi delle superiori radunati ieri al Centro internazionale Malaguzzi per “Reggio Città per la vita – Città contro la pena di morte”, ottava giornata mondiale contro la pena capitale promossa da Comune di Reggio con Cgil, Cisl e Uil, Scuola di Pace di Reggio Emilia, Reggio nel Mondo, con l’adesione di Comunità di Sant’Egidio, Amnesty International, Associazione Carlo Bortolani Onlus, e con il patrocinio di Provincia di Reggio, Regione Emilia-Romagna e Tavolo per la Pace.
Sister Helen – autrice di Dead man walking, best seller internazionale, valsole la nomina per il premio Pulitzer, da cui è stato tratto l’omonimo film interpretato da Susan Sarandon e Sean Penn – ha raccontato la sua esperienza nel braccio della morte, accanto a condannati al patibolo, “compresi – ha sottolineato – quelli innocenti”: la narrazione di fatti, aneddoti, frammenti di drammi, nella loro semplice e umana crudezza, sono lo strumento più efficace e immediato per spiegare la disumanità della pena capitale.
“Le vittime inermi e innocenti sono ben chiare alla nostra coscienza – ha aggiunto – ma anche gli omicidi, o presunti tali, sono uomini. La prima volta che andai a trovare un condannato a morte, pensa che avrei incontrato un uomo che aveva ucciso qualcuno. Siamo portati a pensare che chi uccide sia un mostro… Guardandolo negli occhi, parlandogli, mi resi conto che era un essere umano e niente altro. Allora capii che dovevo testimoniare, far conoscere questa esperienza, questa realtà”.
“E’ agghiacciante e surreale – ha proseguito sister Helen – l’atmosfera che si respira nel braccio della morte, l’estrema gentilezza con cui le guardie trattano i condannati verso il patibolo, la premura, la proposta di vivande squisite, di palliativi e tranquillanti. Si pensa alla pena di morte come qualcosa voluta dagli Stati. Ma se si entra in contatto con le persone protagoniste, siano condannati o guardie carcerarie che poi smettono di mangiare e dormire dopo un’esecuzione, oppure familiari delle vittime la gran parte dei quali non ritiene comunque giusta e utile l’esecuzione, ma la ritiene solo qual che è e cioè un’altra morte, un’altra perdita, una irrimediabilmente mancata possibilità di recupero di una persona, allora si comprende la realtà delle cose”.
“Delle migliaia di condannati in attesa di esecuzione, presenti nei bracci della morte delle carceri americane – ha aggiunto Helen – la maggior parte sono poveri che non hanno potuto permettersi validi e costosi avvocati difensori; sono spesso persone di colore che hanno ucciso dei bianchi; vi sono anche degli innocenti”.
“Sister Helen – ha detto il sindaco Graziano Delrio – appartiene a quella schiera di persone che hanno contribuito a porre il tema della condanna a morte come un problema della società, un problema di civiltà, non più e non solo come un dramma personale, privato. Reggio contribuisce a sostenere questa testimonianza, con l’attenzione ai temi della conciliazione e della pace, al ragionare insieme per superare problemi e conflitti. Sappiamo che tanti condannati non dispongono di soldi per pagarsi bravi avvocati, che sono appannaggio di ricchi e potenti; sappiamo d’altro canto che i pubblici ministeri in America fanno carriera in base alla quantità di delitti scoperti e casi ritenuti risolti… ”. Delrio ha ricordato la battaglia del Comune di Reggio e della Comunità di Sant’Egidio con l’Associazione Carlo Bortolani Onlus per il condannato a morte Michael Toney di Fort Worth, nel 2006 visitato dal sindaco nel braccio della morte del carcere texano, rilasciato di recente per “prove di colpevolezza non consistenti” (Toney è deceduto poi in un incidente stradale nei primi giorni di libertà).
“Non dimentichiamo mai che esistono anche i diritti delle persone offese – ha aggiunto Delrio – Ma non scordiamo che, anche in Texas, in tanti sono consapevoli del fatto che la pena di morte è un deterrente inutile. Reggio mantiene il gemellaggio con Fort Worth, per discutere, per combattere la nostra battaglia con gli strumenti del dialogo, per far cambiare idea sulla pena di morte a un numero sempre maggiore di persone”.
I ragazzi – di varie scuole reggiane, che partecipano alle attività di “Teaching abolition – Insegnare l’abolizionismo”, proposte dalla Coalizione mondiale contro la pena di morte e dall’Amministrazione comunale – presenti al Centro Malaguzzi hanno poi ascoltato l’intervento di Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant’Egidio, che ha sottolineato come in base alle statistiche almeno il 15 per cento dei condannati sia innocente. “A cosa serve – ha detto Marazziti – il braccio della morte? A disumanizzare l’essere umano. La permanenza nel braccio per anni è una tortura che disumanizza la persona, calandola in una realtà che è totalmente avulsa dalla realtà esterna: vi sono sezioni sotterranee in cui l’unica luce è quella elettrica, non c’è sole, per interrompere la percezione dell’avvicendarsi del giorno con la notte. Vi sono accorgimenti spietati, come il mettere nella stessa cella, con giustificazioni umanitarie, due condannati: ‘capita’ però che uno sia bianco e razzista e l’altro nero, uno gay e uno non gay… ”.
“Il braccio distacca dalla realtà – ha concluso Marazziti – genera follia e crea il mito del mostro: i puri di qua, i mostri di là, là dentro. Così il Sistema ha meno remore nel condurre alla morte. L’obiettivo del braccio della morte è creare la percezione del ‘nemico’, ma questo avviene anche fuori, anche nella nostra società, ad esempio con il razzismo, con il rifiuto del diverso da noi al punto da renderlo nemico anche se non lo è affatto. La pena di morte non fa che legittimare una cultura di morte al massimo livello, quello dello Stato. Congela le persone nella sofferenza per le vittime, promettendo una vita che non ci sarà”.
Mirto Bassoli, segretario provinciale della Cgil, ha ribadito “l’impegno dei sindacati contro la pena di morte per una società più giusta. La pena di morte è una punizione disumana, quanto è assoluto il diritto alla vita. E uno Stato che toglie la vita è barbaro. Non è una caso che la pena di morte sia applicata, di solito su poveri, persone di colore e malati psichici, da parte di qualche democrazia e abitualmente da parte di regimi dittatoriali o autoritari. Per questo la battaglia contro la pena di morte, ovvero per i diritti umani è di solito prima ancora una battaglia per la democrazia”.
Dopo l’incontro al Centro Malaguzzi, a cui erano presenti anche Mike Corradi di Amnesty International e Marina Bortolani dell’associazione Carlo Bortolani Onlus, nel pomeriggio sister Helen e Mario Marazziti hanno presentato alla Sala del Capitano del popolo i libri, di cui sono rispettivamente autori: La morte degli innocenti (edizioni San Paolo) e Non c’è giustizia senza vita (edizioni Leopardo international).