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Come uscire dall’emergenza: nota della Coordinatrice dei Garanti Territoriali Desi Bruno

carcereCome uscire dall’emergenza: la Coordinatrice Nazionale dei Garanti dei Diritti delle Persone private della Libertà personale, Avvocato Desi Bruno, a nome del Coordinamento nazionale dei Garanti territoriali.

“Il disumano quanto illegale sovraffollamento delle carceri, apertamente contrastante con la lettera e lo spirito della Costituzione nella parte in cui è sancito che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”, dipende da mancate riforme di sistema la cui assenza sta provocando danni forse irreversibili, e questo non può essere dimenticato. E’ vero che all’orizzonte non si riescono ad intravedere concrete soluzioni, e tutti coloro che hanno pratica degli istituti penitenziari sanno bene che il piano carceri di imminente presentazione non può essere a breve una soluzione, ma non lo sarà neppure a medio-lungo termine. Ciò che occorre sono interventi di riforma che siano strutturali rispetto al tema della pena. La risposta punitiva nella forma della carcerazione dovrebbe riguardare solo quei casi in cui vengono lesi beni di primaria importanza, con una diversa tipologia di sanzioni, tra cui l’utilizzo di lavori socialmente utili, o comunque che prevedano condotte riparative e restitutorie nei confronti dei singoli e della collettività, più efficaci e al contempo più idonee a ridurre la sanzione detentiva.

La riforma del codice penale rappresenta la strada maestra per eliminare la centralità della pena detentiva, per introdurre le pene alternative e valorizzare le misure alternative, argine efficace al ritorno in carcere, nonché valorizzare il lavoro degli operatori penitenziari e il ruolo degli enti locali e del terzo settore che concorrono al perseguimento delle finalità costituzionali. A fronte di una popolazione carceraria che attualmente è costituita dalla cosiddetta detenzione sociale nella misura del 80%, ovvero da persone che vivono uno stato di svantaggio, disagio o marginalità ( immigrati irregolari, tossicodipendenti, emarginati ) per le quali, più che una risposta penale o carceraria, sarebbero più opportune politiche diprevenzione e sociali appropriate. L’importante percentuale di detenuti stranieri presenti nelle patrie galere, ormai oltre un terzo della popolazione carceraria è composta da stranieri, testimonia quanto sia necessario cambiare approccio anche rispetto al problema dell’immigrazione.

Il sistema già prevede le espulsioni come sanzione alternativa alla detenzione dal lontano 2000 ( all’articolo 16 della legge Bossi – Fini per i detenuti stranieri identificati e condannati in via definitiva a una pena inferiore ai 2 anni oppure con un residuo di pena da scontare inferiore ai due anni ), ma tale istituto non risulta essere applicabile o comunque di difficile applicazione, sia per la scarsa disponibilità all’accoglimento da parte dei paesi d’origine sia per i ritardi i legati all’identificazione.

A ciò si aggiunge il dato sconcertante che delle persone ristrette oltre il 50% circa risulta essere in attesa di giudizio e la permanenza media risulta in generale molto bassa, con turn – over altissimo. In tale cornice non può che venire disattesa la finalità rieducativa della pena, previstadal dettato costituzionale, ed ancor prima il principio relativo alla presunzione di innocenza delle persone non condannate in via definitiva, comportando la degenerazione delle condizioni di vivibilità negli ambienti carcerari, che già di per sé è violazione dei diritti umani, con un inevitabile e conseguente stress da sovraffollamento, tanto per i detenuti quanto per il personale della polizia penitenziaria.

Nell’immediato:

– verificare in concreto quanti detenuti potrebbero andare in misura alternativa, con un monitoraggio che dovrebbe coinvolgere direzioni degli istituti e magistratura di sorveglianza, al fine di far uscire dal carcere coloro che hanno una rete di protezione sociale e che hanno pene molto brevi da scontare, per i quali il mantenimento della condizione di detenzione non è utile neppure in una ottica di prevenzione, non costituendo affatto strumento di abbattimento della recidiva. Questo significa che le autorità competenti dovrebbero recuperare il senso delle misure alternative, ben sapendo che le stesse concorrono ad abbattere i numeri della recidiva, non preoccupandosi della presunta impopolarità delle stesse;

– monitoraggio delle espulsioni di cittadini stranieri detenuti effettivamente praticabili ed esecuzione delle stesse con provvedimento della magistratura di sorveglianza tutte le volte in cui sono in essere misure alternative;

– introdurre incentivi per consentire rimpatri “ assistiti”, aiutando chi ritorna nel proprio paese a non sentire solo il peso del fallimento del progetto migratorio e agevolando l’identificazione degli stessi;

– richiesta di risorse destinate al numero mai in diminuzione di tossicodipendenti, per moltissimi dei quali non ci sono prospettive di inserimento comunitario né di programmi terapeutici territoriali in mancanza di risorse finanziarie;

– utilizzo del braccialetto elettronico, se è davvero ancora in essere il contratto onerosissimo che ne prevede l’applicazione mai effettuata;

– uso della custodia cautelare in carcere solo come extrema ratio;

Poi nel breve periodo, a puro titolo esemplificativo, sono indifferibili interventi in materia di:

– riscrittura delle leggi sulle droghe e sull’immigrazione e abrogazione della ex- Cirielli per quanto riguarda la disciplina della recidiva;

– moltiplicazione sul territorio nazionale delle Case per detenute madri;

– chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari;

– effettiva territorializzazione dell’esecuzione della pena, indispensabile presupposto di programmi efficaci di reinserimento nei contesti sociali di appartenenza”.
















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