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‘Curare chi cura’ in un importante convegno a Fiorano

Il Maggio Fioranese dedica al volontariato sociale il terzo week-end, durante il quale le associazioni del volontariato sociale del distretto si presentano ai cittadini con questi obiettivi: divulgare i valori del volontariato, contattare e sensibilizzare le persone, fare conoscere le tante associazioni, le loro finalità e favorire adesioni.

Il primo appuntamento è l’importante convegno “Curare chi cura”, in programma sabato 17 maggio, alle ore 10, al Teatro Astoria, promosso dall’Associazione Ass.S.De, in collaborazione con il Comune di Fiorano e il Distretto di Sassuolo dell’Ausl. Nell’ambito delle malattie degenerative dell’anziano, il convengo affronta “Curare chi cura – come aiutare le famiglie che assistono il malato al proprio domicilio”.
Intervengono la dott.ssa Elisabetta Neve della Fondazione Zancan di Padova e il dott. Massimiliano Logli. L’iniziativa è realizzata con il contributo di System, ed è promossa anche dalle Associazioni di Volontariato del Distretto: Admo, Aigvs, Aism, Amici per la Vita, Anffas, Aseop, Aut Aut, Avo Sassuolo, Sos Mama, Traumi Cranici.
La famiglia è, dopo il malato, la seconda vittima della demenza senile, come è emerso già da cinque anni dai lavori della commissione di studio del Ministero della salute, concludendo che occorre programmare una serie di interventi che contribuiscano e ridefinire il mandato della famiglia nell’ambito di una rete organica di interventi.

Nel distretto di Sassuolo il tema della domiciliarità, inteso come sostegno alla famiglia con un componente non autosufficiente per ragioni psichiche o fisiche, è stato sottoposto con forza all’attenzione della cittadinanza e dei soggetti istituzionali da una associazione di volontariato. L’Associazione Ass.S.De., sostiene i malati di demenza e le loro famiglie e opera perché tutti i componenti della rete che a vario titolo si occupano della cura e dei servizi alla persona siano coinvolti in un progetto di domiciliarità che dia risposte concrete ai bisogni delle famiglie.
Il carico assistenziale di una famiglia con una persona non autosufficiente è altissimo sotto molti punti di vista: sociali, economici, relazionali-affettivi, psicologici, sanitari. La tenuta stessa di tali nuclei è a rischio, e per questo è indispensabile fornire loro azioni concrete di supporto nella gestione quotidiana dei malati.

L’idea di sostegno alla domiciliarità di cui si parla si fonda anche sulla riorganizzazione dei servizi: per migliorare l’efficienza e l’efficacia di quelli esistenti e sviluppare ulteriori iniziative – servizi che coinvolgano tutti i soggetti della rete socio-sanitaria, che hanno a che fare con il mantenimento al domicilio di persone che necessitano di interventi di cura.

Se da una parte la rete dei servizi che ruotano attorno alle famiglie, negli ultimi anni si è articolata e settorializzata, è anche vero che le famiglie continuano a svolgere un ruolo assistenziale pressoché assoluto, utilizzando, come elemento principale di aiuto le cosiddette badanti; con tutte le conseguenze economiche ed operative facilmente immaginabili.
Altro obiettivo di un progetto “domiciliarità” deve essere quello di considerare la famiglia non come terminale passivo di interventi per lo più rivolti direttamente all’assistito, ma come nodo sul quale intervenire perché possa al meglio svolgere la propria funzione nella rete, dedicandole, non solo la stessa attenzione che dedichiamo agli altri servizi, ma l’attenzione che va rivolta alla principale risorsa del contesto di riferimento.

Nell’ottobre scorso è stato pubblicato il rapporto finale del “Progetto Domiciliarità. I bisogni delle famiglie con persone non autosufficienti”, promosso da Asssde, Anffas e Aism (progetto pubblicato su www.fiorano.it nel settore dei servizi sociali). Alla conclusione vengono individuate tre piste di lavoro: lavorare sulla vulnerabilità delle famiglie (alle prese con problemi di non autosufficienza, anche economica, spesso non espressa, con problemi di perdita del tempo e necessità di riorganizzarlo completamente); lavorare sulla percezione del futuro perché la capacità di proiettarsi nel futuro viene considerata come un indicatore di benessere psico-fisico (significa che gli individui mantengono capacità strategiche ossia la capacità di operare scelte a partire da criteri razionali); lavorare per costruire la comunità perché siamo di fronte a famiglie obbligate a “tenere ad oltranza”, ad un “familismo coatto” perché oltre alla famiglia non ci sono alternative. “Tutto ciò impone un ripensamento anche organizzativo dei servizi in una prospettiva in cui vanno innanzitutto riconosciuti i diritti oggi sottovalutati; il diritto alla cura è un diritto sociale incompleto, perchè spesso non è delineato in modo chiaro ed esigibile. Anche nei contesti in cui il sistema di welfare risulta ben sviluppato resta più facile erogare un contributo economico che garantire un livello universale di accesso a interventi diversi”.

















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