La vicenda umana e letteraria dello scrittore modenese Antonio Delfini rivive a cento anni dalla nascita in un’opera teatrale inedita del giornalista e scrittore Roberto Barbolini. Il testo, che si intitola “Io parlo ai perduti: le vite immaginarie di Antonio Delfini” sarà letto dall’autore in prima assoluta mercoledì 21 novembre alle 21 al Teatro delle Passioni, in via Sigonio 382 (ingresso libero, informazioni al numero 059 203940) e presto diventerà uno spettacolo teatrale.
L’iniziativa è del Comune di Modena, della biblioteca civica Delfini e di Emilia Romagna Teatro Fondazione, che hanno commissionato il testo.
Nato a Formigine nel 1951, Barbolini è critico teatrale e redattore culturale del settimanale “Panorama”. Ha pubblicato saggi sul gotico, la letteratura fantastica e il poliziesco, oltre a romanzi e raccolte di racconti, tra cui “Il punteggio di Vienna”,”Piccola città bastardo posto”,”San Cataldo Cemetery Blues e altri racconti”, “Ligabue fandango”, “Magical Mystery Tour: da Pico della Mirandola a Ligabue” e ” Uomini di cenere”.
“Verso la metà degli anni Settanta, la narrativa sembrava lettera morta: impazzava la saggistica politica, il ‘68 aveva mandato al potere tutto tranne l’immaginazione. Quanto a lungo doveva sentirsi in colpa un ragazzo cresciuto in una “piccola città, bastardo posto”, se amava più i romanzi che la rivoluzione?” si chiede Barbolini. “Il mio amore per Delfini nacque così: una passione clandestina di cui un po’ mi vergognavo, non sapendo fino a che punto le pagine di quel bizzarro mi conquistassero perché era un vero scrittore o soltanto perché era un mio concittadino. In quegli anni, di Delfini non parlava più nessuno; la smagliante prefazione di Cesare Garboli ai ‘Diari’ era di là da venire. Fu quasi con tremore che, tramite Guido Fink, spedii alla rivista ‘Paragone’ un saggio intitolato ‘Antonio Delfini tra crudeltà e grazia’, che venne pubblicato nel numero dell’aprile 1977”.
Nato a Modena nel 1907, Antonio Delfini non compie studi regolari e la sua formazione autodidatta è legata ad amicizie giovanili come quelle con Ugo Guandalini (il futuro editore Guanda) e Mario Pannunzio. Nel 1931 pubblica “Ritorno in città”, raccolta di brevi prose che lo segnala come autore di originale freschezza. Del 1938 è la prima edizione del suo libro più noto, “Il ricordo della Basca”, ristampato nel 1956 con un'”Introduzione” narrativa giudicata il suo capolavoro. Nel 1940 pubblica uno dei pochi testi del surrealismo italiano, “Il fanalino della Battimonda”. Nel secondo dopoguerra, Delfini è segnato da vicende molto dolorose. Continua a scrivere, ma il suo sradicamento si acuisce. Nel 1957 esce l’antologia “La Rosina perduta”; nel 1960 la raccolta di prose satiriche “Misa Bovetti e altre cronache”. Seguiranno le “Poesie della fine del mondo” (1961) e “Modena 1831 città della Chartreuse” (1962), ultimo libro pubblicato in vita. Nel 1963 “Il ricordo della Basca”, ripubblicato col titolo “I racconti”, vince il Premio Viareggio. Nel 1982 escono postumi i “Diari”. Ha scritto Natalia Ginzburg, che di Delfini amava la rapidità vertiginosa e la libertà: i suoi racconti “lasciano la sensazione che la vita sia rapidissima, imprevedibile e ferocemente crudele”.
“Senza saperlo – ricorda Barbolini – ho anche scritto un suo racconto: quando Garboli curò la pubblicazione del ‘Manifesto per un partito conservatore e comunista e altri scritti’, mi fece notare che il frammento delfiniano ‘Le colline modenesi e il Frignano’, a me ignoto, era un ideale incunabolo del mio racconto ‘Vandelli’, pubblicato nel trittico ‘La strada fantasma’. Allora mi è venuto il sospetto di essere un fantasma di Delfini, una sua invenzione. Per rimettere le cose a posto, una decina d’anni fa ho provato a liberarmi di lui trasformandolo in Delfo Semprini, protagonista del mio romanzo ‘Piccola città bastardo posto’. Invano – conclude Barbolini – visto che adesso è riemerso, con tanto di nome e cognome, in ‘Io parlo ai perduti’, più che mai deciso a rubarmi la scena e a dimostrare chi è il vero padrone delle storie. Non mi resta che cedergli, sommessamente, la parola”.