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Confesercenti Modena su studi di settore e politica fiscale

Un aumento di 13.000 euro d’imposta: è quanto un ristorante con due dipendenti, dovrà versare in più al fisco per effetto dei cosiddetti indici di normalità economica; arrivano addirittura a 20.000 gli euro in più da pagare nel caso in cui si tratti di un distributore di carburanti e lubrificanti con servizi accessori.

Due esempi che mettono a nudo l’incredibile anomalia che si è venuta a determinare con l’introduzione di nuovi parametri, i cosiddetti indici di normalità economica, che si sommano agli studi di settore e che vanno ad incidere pesantemente sui conti delle piccole aziende; un cambio di regole introdotto nel 2007, i cui effetti però ricadono sull’anno precedente, fiscalmente già chiuso. Una scelta che preoccupa Confesercenti e sconcerta perchè di fatto mette fuori dalla legalità fiscale una percentuale altissima di aziende, e non per loro volontà; fino a qualche settimana fa erano in regola, ma a causa di un provvedimento irragionevole che, fra l’altro, si caratterizza per l’utilizzo di strumenti generici che non sono in alcun modo idonei a misurare quale sia la effettiva situazione in settori in cui le differenze tra imprese possono essere abissali.
A questo si somma una Finanziaria che sul piano fiscale è stata generosa con le grandi imprese, che trova applicazione in un contesto in cui la maggioranza delle aziende che hanno difficoltà ad agganciarsi alla ripresa economica – 4.200.000 imprese (dati Istat), il 35 per cento del totale delle imprese – sono realtà di piccole e piccolissime dimensioni.

A ciò si aggiungono i sempre più capillari controlli sulle attività commerciali rispetto all’emissione degli scontrini fiscali: fatto non negativo in sé, ma che tuttavia denota il quadro caotico che disciplina il rapporto fisco-imprese. Se infatti si continua ad attribuire valore fiscale allo scontrino ci si chiede a cosa servano gli studi di settore nella determinazione dei ricavi di impresa. Ancora più difficile è trovare una logica nei comportamenti dell’amministrazione finanziaria, quando da un lato si apre la caccia allo scontrino fiscale e dall’altro il Governo introduce l’invio telematico dei corrispettivi giornalieri all’Agenzia delle entrate, attraverso una soluzione che grava le imprese di altri costi per l’adeguamento tecnologico. I casi sono due: o siamo ormai nel caos oppure, situazione altrettanto grave, si da per scontato che non ci siano le condizioni per trattare l’enorme mole di dati che arriverà per via telematica.

Si deduce che è urgente un’inversione di rotta nella politica fiscale di questo Governo, che basi il rapporto Fisco-Imprese sul reale andamento economico e sulla reale struttura aziendale: l’unica strada possibile per contribuire alla fiscalità generale secondo criteri di equità e giustizia. Obiettivo che può essere raggiunto solo attraverso un confronto di merito con le categorie economiche, abbandonando facili scorciatoie che introducono provvedimenti che disattendono lo stesso Statuto del contribuente, approvando norme poco trasparenti, e per di più con effetto retroattivo. Auspicando quindi che il Governo torni sulle sue posizioni ed apra un confronto con le organizzazioni economiche, Confesercenti si impegna a tutelare le imprese nel confronto con l’amministrazione finanziaria qualora si rilevi una immotivata differenza fra ricavi previsti dai cosiddetti indici di normalità economica ed i ricavi dichiarati.
















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