Ricercatori del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia e del Dipartimento di Medicina Clinica e delle Patologie Emergenti dell’Università di Palermo, hanno individuato importanti mutazioni genetiche che per una parte della popolazione bianca determinano nei soggetti portatori una bassa concentrazione di colesterolo nel sangue, conferendo loro una protezione nei confronti dell’aterosclerosi.
Questa importante scoperta, che fa intravedere rilevanti sviluppi nella prevenzione delle patologie cardiovascolari, è stata condotta da un gruppo di ricerca coordinato dalla prof.ssa Patrizia Tarugi, docente di Patologia Generale presso la facoltà di Farmacia dell’Ateneo emiliano, il quale da diversi anni si è concentrato sullo studio dei geni che controllano il metabolismo del colesterolo e la concentrazione delle lipoproteine a bassa densità (LDL), responsabili del trasporto della maggior parte del colesterolo presente nel sangue.
E’ noto che l’aumento nel sangue delle LDL è un fattore di elevato rischio per le malattie cardiovascolari su base aterosclerotica. I ricercatori modenesi, grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena e di Telethon, ed all’apporto scientifico dell’unità di ricerca del prof. Maurizio Averna del Dipartimento di Medicina Clinica e delle Patologie Emergenti dell’Università di Palermo, hanno condotto un approfondito studio sui geni che, se mutati, provocano una riduzione dei livelli delle lipoproteine a bassa densità (LDL) e potrebbero conferire una protezione nei confronti delle malattie cardiovascolari.
Nel corso dello studio sono state trovate famiglie “orfane” con basse concentrazioni di LDL nel sangue, nelle quali tutti i geni candidati più importanti sono stati esclusi. Queste famiglie sono state oggetto di un ulteriore analisi di un altro gene denominato PCSK9, di recente scoperta, che regola la capacità delle cellule del fegato di catturare LDL, rimuovendole dal sangue. Studi svolti in USA nel 2005 avevano dimostrato che il 2% di individui afro-americani era portatore di una mutazione inattivante il gene PCSK9, che determinava una riduzione del 40% dei livelli di LDL, conferendo una sostanziale protezione nei confronti delle malattie cardiovascolari.
Queste mutazioni “protettive” non erano state riscontrate, invece, nella popolazione bianca di origine europea. Il paziente lavoro di analisi genetica svolto dal gruppo di ricerca della prof.ssa Patrizia Tarugi ha permesso di identificare una famiglia italiana nella quale 4 membri, per tre generazioni, presentavano una mutazione inattivante PCSK9, diversa da quella riscontrata negli afro-americani.
Questa osservazione ha suggerito di svolgere uno studio più esteso, analizzando il gene PCSK9 su un campione di popolazione costituito da soggetti volontari sani, selezionati sulla base di bassi livelli di LDL nel sangue. Questo studio di popolazione, realizzato grazie al lavoro del gruppo del prof. Maurizio Averna, ha permesso di identificare altri soggetti “bianchi” portatori della stessa mutazione identificata dalla prof.ssa Tarugi. I risultati conseguiti per il loro indubbio interesse hanno ottenuto l’immediato riconoscimento della comunità scientifica e sono stati pubblicati su Arteriosclerosis Thrombosis and Vascular Biology, organo ufficiale dell’American Heart Association.
“Ora i risultati raggiunti – commenta la prof. ssa Patrizia Tarugi dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia – suggeriscono la possibilità che altre mutazioni inattivanti il gene PCSK9 siano presenti nella nostra popolazione, conferendo ai soggetti portatori una protezione nei confronti dell’aterosclerosi. Di fatto, abbiamo dati preliminari che dimostrano la presenza di altre mutazioni inattivanti PCSK9 in individui della nostra popolazione che hanno bassi livelli di colesterolo nel sangue”.
“Queste osservazioni – commenta il prof. Maurizio Averna dell’Università di Palermo – forniscono le basi biologiche per lo sviluppo di nuovi farmaci che, riducendo la funzione del gene PCSK9, potranno rappresentare una nuova strategia terapeutica per ridurre il colesterolo nel sangue e, quindi, il rischio di infarto del cuore e delle malattie cardiovascolari in generale”.
Nel corso degli anni, per le indiscusse competenze acquisite, i due gruppi di ricerca di Modena e di Palermo, sono diventati centri di riferimento europeo per lo studio genetico-molecolare di individui e famiglie caratterizzate da bassi livelli di colesterolo e LDL, una condizione nota con il termine di ipobetalipoproteinemia familiare.