Eugenio Zampighi o il pittore dei particolari, che per curare al massimo il dettaglio delle
sue opere utilizzava le fotografie come bozzetti. E’ il protagonista della mostra dal titolo
“Eugenio Zampighi fotografo e pittore” promossa dal Fotomuseo Giuseppe Panini e dalla
Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, in collaborazione con il Museo Civico d’Arte
di Modena.
L’esposizione è in programma al Fotomuseo (in via Giardini 160) fino al 9 aprile, prende vita dalla similarità delle raccolte fotografiche del Fotomuseo e del Museo Civico d’Arte, e sulla traccia degli argomenti trattati dai due istituti nella mostra organizzata nel 2003 “Giuseppe Graziosi – Dalla fotografia al quadro”.
Al pubblico vengono proposte oltre 150 fotografie del fondo del Fotomuseo che comprendono
non solo le immagini delle scene composte dal pittore come spunti per il proprio lavoro, ma anche le riproduzioni dei quadri, fotografati sempre dall’artista, che venivano utilizzate come catalogo commerciale.
Ed è proprio sull’utilizzo da parte di Zampighi della fotografia come ancella della propria arte che il Fotomuseo vuole porre l’attenzione. Da un’analisi del fondo Zampighi conservato al Fotomuseo emerge che nei suoi quadri, nelle allegre scene di vita famigliare contadina, si ritrovano gli stessi personaggi stereotipati delle fotografie, nelle medesime pose, nelle identiche azioni, illuminati dalla stessa luce. In molte occasioni, inoltre,
le stesse figure vengono ripetute in quadri diversi: la medesima coppia di nonni che fa visita ai nipoti la si ritrova in almeno tre opere. A dimostrazione che l’artista lavorava alla composizione dei quadri quasi fossero differenti collage realizzati a partire dalla stesso gruppo di fotografie, senza sforzi creativi sui soggetti, ma solo sull’ambientazione.
Scrive di Zampighi Luciana Frigeri Leonelli, storica dell’arte nel suo testo Pittori modenesi
dell’Ottocento: “Direi che il suo inserimento, o artistica convivenza, è riservato ad un
posto di descrittore; la sua partecipazione è nell’ambito di un’umile, instancabile analisi di
particolari”. Una meticolosità testimoniata dalle 530 immagini del fotografo-pittore (392
foto dal vero adoperate come bozzetti e 138 riproduzioni di quadri) che il Fotomuseo ha
acquistato nel 1997, e dai due nuclei di fotografie e di negativi in lastra di vetro in possesso
del Museo Civico d’Arte. Interessante inoltre il ritrovamento sul retro di alcune di
queste riproduzioni di note dello stesso autore sui cambiamenti richiesti dai committenti
ai soggetti dei quadri (per esempio: “La signora Rossi chiede di sostituire le galline con un cesto di gattini”), esplicative del modus operandi dell’artista.
La fortuna delle opere pittoriche di Eugenio Zampighi è data dalla ricostruzione di un mondo campestre idilliaco di inizio Novecento, che risulta verosimile e tipicamente italiano agli occhi di uno straniero, ma che disconstandosi molto dalla realtà, suona un po’ irreale agli occhi degli italiani. Proprio per questo i suoi dipinti sono presenti in prevalenza in collezioni private non italiane, soprattutto inglesi e sono tutt’oggi molto richieste dal mercato anglosassone.
L’esposizione, che è stata preceduta da una campagna di restauro e pulitura degli originali
che si trovavano in un mediocre stato di conservazione a causa dell’ampio utilizzo che ne faceva lo stesso Zampighi, è stata arricchita dal prestito di un’opera originale dell’artista proveniente dalla collezione d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di
Modena.
La mostra è corredata da un catalogo di 60 pagine con testi di Chiara Dall’Olio, conservatrice del Fotomuseo Panini, e Francesca Piccinini, direttrice del Museo Civico d’Arte di Modena.


