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Kyoto: Coldiretti, 400mila tonnellate in meno di CO2 con biosacchetti

Abbandonare completamente gli attuali sacchetti della spesa in plastica significa ridurre l’emissione di 400mila tonnellate di anidride carbonica (CO2) grazie a un risparmio nei consumi di petrolio stimato pari a 200mila tonnellate l’anno.

E’ quanto afferma la Coldiretti che in occasione della giornata del rispiarmio energetico, a due anni dalla firma del protocollo di Kyoto, si è mobilitata a difesa del clima per introdurre alcuni semplici comportamenti nella spesa quotidiana che contribuiscono a ridurre l’impatto energetico e ambientale

Nel presidio della Coldiretti nel centro di Roma, a Largo Argentina, sono stati offerti consigli e presentate dimostrazioni pratiche per combattere l’emissione di gas serra a tavola, ma anche offerti i primi campioni di buste biodegradabili con prodotti locali a chilometri zero. Una iniziativa – continua la Coldiretti – che rientra nell’adesione a “M’illumino di meno” ideata dalla nota trasmissione di Radio Due Caterpillar e patrocinata dal Ministero dell’Ambiente e dal Ministero delle Politiche Agricole.

L’Italia – sottolinea la Coldiretti – ha la possibilità di anticipare l’obiettivo di sostituire le tradizionali bustine della spesa di plastica con materiali biodegradabili di origine agricola nazionale a partire dal 2010 come previsto dalla finanziaria. Per questo obiettivo basta infatti coltivare – precisa la Coldiretti – appena 200mila ettari poiché mezzo chilo di mais e un chilo di olio di girasole sono sufficienti per produrre circa 100 bustine di bioplastica non inquinante con un effetto ambientale che giustifica l’attuale differenza di costo di pochi centesimi e che tende progressivamente a ridursi (8 centesimi per il sacchetto biodegradabile rispetto ai 5 di quello in plastica tradizionale).

Se con l’accordo raggiunto tra Coldiretti e Novamont sulla prima bioraffineria italiana si sta concretizzando un impegno importante da parte delle imprese, molto resta da fare sul lato dei consumi per contribuire al raggiungimento degli obiettivi fissati dal protocollo di Kyoto.
Secondo uno studio della Coldiretti, rinunciando solamente a pesche, ciliegie e uva importate via aerea fuori stagione dal Sud Africa e dal Centro-Sud America, gli italiani potrebbero risparmiare ulteriori 50mila tonnellate di petrolio equivalenti con una riduzione di 125mila tonnellate di anidride carbonica di origine fossile. Peraltro – sottolinea la Coldiretti – scegliere di consumare frutta e verdura di stagione oltre a evitare gli “sprechi energetici” dei prodotti esotici garantisce maggiore qualità e freschezza per la salute e non comporta particolari sacrifici per un Paese come l’Italia che offre la più ampia varietà alimentare.

Secondo una recente analisi consumando prodotti di stagione una famiglia può arrivare a risparmiare fino a una tonnellata di anidride carbonica (CO2) all’anno. Affinché sia però possibile fare scelte di acquisto consapevoli, che non inquinano e salvano il clima, è necessaria – afferma la Coldiretti – l’introduzione e il controllo dell’obbligo di indicare in etichetta la provenienza di cibi in vendita e anche un impegno per garantire la disponibilità di spazi adeguati nella distribuzione commerciale dove poter acquistare alimenti locali “a chilometri zero” che non devono essere trasportati per lunghe distanze. L’Italia è leader nella produzione di frutta e verdura nell’Unione Europea allargata, con un raccolto di quasi 30 miliardi di chili (pari al 25 per cento del totale comunitario) che alimenta un importante flusso di esportazioni. Ma l’Italia – sottolinea la Coldiretti – è anche un grande Paese importatore di ortofrutta, per una quantità stimabile nel 2006 pari a 3,4 miliardi di chili che significa una probabilità su dieci di consumare sul mercato nazionale frutta e verdura di origine non nazionale. In particolare oltre la metà della frutta importata viene da Paesi del Centro e Sud America (Equador, Colombia, Cile, Argentina, Brasile), ma rilevanti sono le importazioni dalla Spagna con il 20 per cento e dal Sud Africa o altri Paesi africani dai quali giungono anche verdure e ortaggi che arrivano però in maggioranza da altri Paesi Europei.
A causa delle irregolarità spesso presenti nell’etichettatura la frutta e la verdura proveniente dall’estero è destinata in molti casi – denuncia la Coldiretti – a essere spacciata come Made in Italy nonostante l’entrata in vigore di norme che prevedono multe salate se non viene esposta l’indicazione dell’origine, della qualità e delle varietà. Una mancanza di trasparenza che impedisce – precisa la Coldiretti – di fare scelte consapevoli e di capire quali prodotti sono di stagione nel nostro Paese e quale è quindi il momento migliore per acquistare le ciliegie o le pesche, che non sono prodotte in Italia dodici mesi all’anno.

Per questo è particolarmente grave il tentativo di colpo di spugna, previsto dal disegno di legge comunitaria 2007 presentato dall’esecutivo, sull’obbligo di indicare nell’etichetta la provenienza degli alimenti introdotto dalla legge 204 del 2004 approvata con il consenso di un milione di firme alla legge di iniziativa popolare promossa dalla Coldiretti alla quale hanno aderito tra gli altri rappresentanti delle Istituzioni ai diversi livelli territoriali, le Associazioni dei Consumatori, insieme a rappresentanti del movimento ambientalista.
Un tentativo che di fatto – conclude la Coldiretti – significa il via libera alla possibilità di spacciare come Made in Italy miscugli di olio spremuto da olive spagnole, greche e tunisine, i prosciutti ottenuti da maiali allevati in Olanda e Danimarca o addirittura la macedonia in scatola composta da ananas e acini di uva extracomunitaria, prugne bulgare e pere cinesi.
















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