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Sassuolo: domani apre la mostra ‘Il mio tappeto rosso’

Apre domani, sabato 7 ottobre, in piazzale Gazzadi, 4 a Sassuolo dalle ore 18 la mostra
di Mimmo Cocchi “Il mio tappeto rosso”. La mostra rimarrà aperta sino al 29 ottobre coi seguenti orari: sabato e domenica 10-13 – 16-19 e martedì e venerdì dalle 17 alle 19.


Per l’occasione la recensione di Emilio Rentocchini:


Nell’esistenza di ognuno c’è almeno un momento di non ritorno, un attimo, un episodio, un tempo che parla straniero e ci costringe a inseguirlo, per poterlo comprendere, e di riflesso -un riflesso immediato e epocale- sentirci più nostri e avverarci.

Capita a tutti, ogni volta che la strada s’incurva, di percepirsi necessitati a rinascere o forse soltanto a pre-essere, nel senso che il nuovo che osiamo ammettere è tanto fondo e irrisolto, da sapere di voce già udita e quasi riavuta: basta allungarsi brucianti in quello spazio interiore prodotto proprio dal fatto di non averne mai captato, fino ad allora, la misteriosa presenza.

Per Emidio Cocchi, il non ritorno si chiama ritorno: da un viaggio nordafricano, che le opere qui esposte non vogliono però raccontare, né tantomeno descrivere, ma incarnare nel segno del corpo, che prende se stesso a modello spirituale e perimetra così, e solo così, l’esperienza del mondo.
C’è la crudezza delle cose che diviene la loro unica verità, la foga dei sensi brillanti di luce desiderata, la notte maturata di soli ancestrali e brividi densi di se’.

Non a caso, i lavori qui esposti sono il prodotto di una esplosione, di una tensione covata nella vita precedente e gridata in modi apparentemente impropri, per materiali e tecniche adottate, tutti assolutamente poco convenzionali. Esiste comunque qualcosa di meno convenzionale di un precipizio di una scoperta? La carta da pacchi, l’olio stradiluito, ogni scelta o non scelta sa diventare necessità. Le dimensioni, le più disparate: ma nessuno, mi pare, possa dare dimensione ufficiale a un destino non proprio.

In Cocchi, dopo l’impeto creativo, subentrano rapidamente la stanchezza e il rifiuto per l’opera realizzata, che spesso viene distrutta o quantomeno accantonata. Stupisce allora sapere che i quadri esposti appartengono a un periodo lontano, sono stati infatti realizzati in un breve e intensissimo lasso di tempo, nei primi anni Novanta. Ciò, sia chiaro, deve soprattutto rincuorare, perché diventa conferma dell’importanza centrale che essi hanno per l’autore, se non solo li ha salvati da se stesso, ma addirittura li propone in questa sua personale.
C’è in essi, evidentemente, traccia di quella percussione in avanti che, a suo tempo, ha deviato l’attesa e ha destato di colpo la carne profonda, facendone finalmente il fuoco della vita e dell’arte di Emidio Cocchi.
















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