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Modena: prostituzione, sgominata banda albanesi

Un anno di indagini per arrivare a
36 ordinanze di custodia cautelare emesse dal Gip del Tribunale
di Modena, a carico di una vera e propria banda di albanesi
accusati di associazione a delinquere finalizzata all’
agevolazione di immigrazione clandestina, favoreggiamento e
sfruttamento della prostituzione, anche minorile, di una
cinquantina di giovani straniere.


La squadra mobile della questura di Modena, nel corso di una
maxi-operazione coordinata dal dirigente Amedeo Pazzanese e
svolta in collaborazione con i colleghi di Reggio Emilia,
Torino, Bergamo, Bologna, Ferrara e Mantova, ha smantellato una
grossa organizzazione che era riuscita a strutturare tra Modena,
Reggio Emilia, Bergamo e Torino una rete di reclutamento e
sfruttamento di ragazze provenienti dai paesi dell’Est europeo e
poi costrette a prostituirsi.
Gli albanesi arrestati, tutti fra i 30 e i 40 anni, alcuni
senza fissa dimora, si erano rigidamente divisi i compiti:
alcuni si occupavano di ‘reclutare’ le ragazze nei loro paesi d’
origine -in particolare Albania-, di fornire loro passaporti e
documenti -in alcuni casi contraffatti- e di mandarle poi in
Italia. Qui un altro gruppo le sistemava in appartamenti presi
regolarmente in affitto e, dopo aver diviso le giovani in
piccoli gruppi, le ‘scortavano a distanza’ durante il lavoro
notturno. Dell’organizzazione facevano parte anche alcune donne,
tutte denunciate, che provvedevano ad addestrare le ragazze e a
fornire loro profilattici e altro materiale necessario all’
attività. Erano poi loro a prelevare e custodire l’incasso di
ogni notte per consegnarlo poi ai connazionali. Nel caso di un
eventuale controllo di polizia o di un’espulsione, la banda
predisponeva con eccezionale tempestività il rientro in Italia
delle prostitute rimpatriate attraverso passaporti e permessi di
soggiorno falsi.
Secondo gli investigatori questo sarebbe ”un elementare
sistema per rendere l’organizzazione impermeabile ad eventuali
tentativi di ribellione da parte delle giovani sfruttate” che
raramente entravano in contatto con gli sfruttatori. Una parte
del denaro provento di questa e di altre attività illecite -spaccio di sostanze stupefacenti- veniva investita in Albania
soprattutto in attività immobiliari o nell’acquisto di pubblici
esercizi.

















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