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Scoperta nel bolognese frode fiscale con fatture false per 12 milioni di euro

Nei giorni scorsi la Guardia di Finanza del Comando Provinciale di Bologna, ha eseguito
l’ordinanza, emessa dal GIP del locale Tribunale – dott.ssa Rossella Materia su richiesta
del Sostituto Procuratore della Repubblica dott. Marco Forte – di custodia cautelare in
carcere di due imprenditori di etnia cinesi (coniugi di 48 e 49 anni, residenti a Bologna). È stata inoltre emessa la misura cautelare interdittiva del divieto di esercitare attività imprenditoriali per 12 mesi a carico di altri cinque imprenditori sempre di etnia cinese, oltre all’applicazione del divieto temporaneo di esercitare attività professionali per 9 mesi nei confronti di tre cittadini italiani (tutti residenti nel bolognese). Questi ultimi operavano quali commercialisti con ruolo d’intermediari nella presentazione delle dichiarazioni dei redditi per le società gestite dai cittadini asiatici.
Sono state effettuate numerose perquisizioni nei confronti dei 27 indagati per i reati di
associazione a delinquere finalizzata ad una i serie di delitti di natura fiscale, oltre che
riciclaggio, auto riciclaggio ed intestazione fittizia di beni, con esecuzione di sequestri
preventivi, finalizzati alla confisca, di beni mobili ed immobili degli indagati per un
controvalore di 2 milioni di euro.
L’operazione, che ha permesso di smascherare un’ingente frode fiscale, prende le mosse da
una verifica operata da parte delle fiamme gialle del II Gruppo di Bologna nei confronti di una società con sede in Calderara di Reno (BO) – operante nel settore del confezionamento di capi di vestiario ed amministrata da un cittadino di origine cinese, da cui è scaturita l’indagine di polizia giudiziaria coordinata dalla locale Procura della Repubblica.
Nel corso delle indagini, sono stati acquisiti diversi indizi su come l’amministratore della società verificata fosse un semplice prestanome e che i reali dominus fossero effettivamente due coniugi cinesi titolari di un’ulteriore società, proprietaria
della struttura – un capannone -, nonché dei macchinari utilizzati per l’attività produttiva.
Dall’approfondimento delle investigazioni è emerso infatti uno scenario particolarmente
complesso ed articolato che ha visto il continuo susseguirsi, nel corso degli ultimi anni, di aperture e chiusure di imprese operanti nella medesima sede, tutte collegate da un unico filo conduttore.
In particolare è emerso che sin dal 2010 la società dei due coniugi avesse, solo
formalmente, affittato in maniera sistematica l’immobile ed i macchinari ad una molteplicità
di imprese tutte gestite da soggetti cinesi e tutte caratterizzate dallo stesso modus operandi:
• iniziare e cessare la produzione generalmente nell’arco di un anno o poco più;
• assumere fittiziamente come dipendenti i titolari della società proprietaria dell’immobile;
• registrare costi per prestazioni di terzi per un importo quasi pari a quello delle vendite,
nonostante il fatto che il confezionamento dei capi di vestiario venisse svolto direttamente
dal personale dipendente;
• omettere sistematicamente il pagamento delle imposte sui redditi e dell’IVA.
Si è quindi svelata un’ingente frode fiscale tramite l’utilizzo di fatture false per 12 milioni di
euro, attuata attraverso l’intestazione fittizia delle società coinvolte a delle “teste di legno”,
con il preciso intento di sollevarsi da responsabilità dirette e, quindi, non incorrere in sanzioni penali e/o amministrative, derivanti dalle dichiarazioni fraudolente e dal conseguente omesso versamento dei tributi.
Con il preciso intento di consolidare l’ipotesi formulata, nei mesi scorsi sono state svolte ulteriori investigazioni, condotte anche con operazioni tecniche di polizia, che hanno permesso di acquisire indizi incontrovertibili in ordine alla riconducibilità ai due coniugi cinesi della titolarità di fatto di tutte le aziende implicate, dal momento che è stato accertato come tutte le iniziative aziendali dovessero passare al loro vaglio (dai rapporti con i fornitori e clienti a quelli con le banche fino all’assunzione dei dipendenti).
L’ingente sequestro operato dalla Guardia di Finanza tutela il rientro delle somme evase nelle casse dello Stato, poiché nel corso delle indagini era emerso che, dopo la chiusura della prima verifica fiscale, i coniugi cinesi avevano compiuto una serie di operazioni immobiliari per spogliarsi dei propri beni intestandoli in maniera simulata a parenti e soggetti terzi, nonché a società di comodo, a loro direttamente riconducibili, ed infine reinvestendo il medesimo denaro in altre società, fittiziamente intestate alla seconda generazione della famiglia.
In quest’ottica si sono mosse le ulteriori fasi dell’attività investigativa, ossia nel
ricostruire i singoli passaggi dei capitali, frutto anche della sleale concorrenza sul mercato e
dello sfruttamento della manodopera dei propri concittadini, consentendo agli indagati, legati anche da vincoli familiari, non solo di elevare il loro tenore di vita, ma permettendogli
soprattutto un maggior potere di acquisto e d’investimento in altre attività commerciali. Tra queste rientra l’apertura di uno dei più grandi ristoranti di cucina asiatica presente sul territorio felsineo, di cui alcune quote sono state sequestrate e affidate amministrazione
giudiziale, in quanto creato con il medesimo denaro sottratto all’Erario.
















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