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Botta e Canali, il valore del territorio e delle persone che lo vivono

Il quarto convegno del programma culturale Costruire, abitare, pensare si è svolto ieri pomeriggio, nella Galleria dell’Architettura del Cersaie. Un dialogo tra due maestri, Mario Botta e Guido Canali: «Anzi, se non si offendono, due mostri sacri», li ha definiti lo storico dell’architettura Fulvio Irace introducendo le loro esposizioni. L’architetto svizzero Mario Botta ha presentato due lavori legati alla sua terra natale: la struttura Fiore di Pietra, sul crinale del Monte Generoso a 1.700 metri di altitudine nelle Prealpi luganesi, e il progetto del teatro di architettura dell’Università della Svizzera italiana. Se il primo ospita due ristoranti, il secondo è ispirato ai teatri anatomici in cui i professori di medicina tenevano le loro lezioni: «Quali sono le motivazioni che ci spingono a costruire una casa, una chiesa, un museo o una biblioteca? – si chiede Botta – L’interpretazione che l’architetto riesce a dare a questi edifici». Botta dedica una riflessione anche al materiale fondamentale del Cersaie: «La ceramica è un ritorno – spiega – Il mondo della ceramica interpreta al meglio il binomio tra architettura e industria».

Guido Canali ha presentato diversi musei: il Palazzo della Pilotta di Parma, Santa Maria della Scala a Siena, il museo di Pontremoli. «Credo che i musei si debbano fare con umiltà estrema, mettendosi al servizio dei pezzi che si devono esporre. Il museo deve diventare un teatro», la filosofia di Canali. Ma nell’opera dell’architetto ci sono anche strutture industriali, come lo stabilimento di Prada a Montegranaro e gli headquarters della stessa azienda a Valvigna, oltre alla sede della Smeg a Guastalla. Sempre con l’attenzione per chi, quegli spazi, dovrà viverli: «Non amo la parola ‘archistar’, l’architetto dev’essere un umile artigiano», spiega Canali. Che poi, a fine esposizione, approfondisce il concetto: «Noi non dobbiamo sovrastare, dobbiamo ascoltare la gente che abiterà gli edifici e il territorio in cui ci inseriremo. Se parti da una posizione di superbia, di arroganza, tradisci il tuo ruolo». Un approccio condiviso da Botta: «Credo che l’umiltà sia la condizione di base che porta alla consapevolezza che noi siamo strumenti minimi nella costruzione di un paesaggio. Noi ci confrontiamo con la crosta terrestre, dobbiamo modificarla e questo ci fa molto piccoli».

C’è spazio, nel corso del convegno, anche per parlare del committente: «Un buon committente mette in mano all’architetto le condizioni per risolvere i problemi al di là della risposta tecnica. È parte del progetto, non conosco una buona architettura fatta bene con un cattivo committente», assicura Botta. Che ricorda anche l’importanza della sostenibilità in architettura: «Non conosco una buona architettura che non sia sostenibile – sottolinea -. Anche quella più umile. Le nostre case contadine sono lezioni di ecologia». Anche per Canali il committente è fondamentale: «Il committente è una figura importantissima del processo che porta a un buon progetto – spiega -. A volte è ottimo anche quando non c’è, quando sta lontano e ti lascia fare».

 
















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