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Investimenti, per 7 imprenditori bolognesi su 10 torna il sogno americano

stati_uniti_americaGli Stati Uniti rappresentano uno dei mercati più attrattivi per i capitali delle aziende di tutto il mondo e storicamente occupano una posizione di leadership per i nuovi investimenti delle imprese. Secondo ben 7 imprenditori bolognesi su 10 infatti (74%) il mercato statunitense è il migliore in cui investire i propri capitali. Le motivazioni principali? Un’economia solida e in continua espansione (60%), un sistema fiscale certo e trasparente (53%) e una tassazione vantaggiosa (48%).

Tra le preoccupazioni principali che inibiscono gli investimenti all’estero, la burocrazia (64%), la scarsa conoscenza del sistema legale (61%) e la lenta ripresa economica (58%). Dubbi raccolti dagli esperti in campo di tutela legale degli investimenti, che raccomandano di operare con il supporto di professionisti con grande esperienza internazionale per non rischiare di andare incontro a controversie fiscali e legali.

È quanto emerge da un’indagine promossa da K&L Gates Legal Observatory, l’osservatorio della sede di Milano dello studio internazionale K&L Gates, che analizza il panorama legale nel contesto italiano e internazionale. L’indagine, condotta in preparazione al convegno “Investire in USA: crescita e opportunità per le imprese”, organizzato dall’American Chamber of Commerce in Italy e K&L Gates in collaborazione con Banca Popolare dell’Emilia Romagna e Confindustria Emilia Romagna, ha preso a campione 50 imprenditori di Bologna e provincia proponendo loro un questionario volto a comprendere come le aziende considerano e valutano gli investimenti negli Stati Uniti e se pensano di effettuarne nel loro futuro.

 

Dall’indagine è emerso inoltre che, nonostante molti imprenditori non abbiano mai investito negli Stati Uniti (64%) o all’estero (52%), ben 7 su 10 considerano un’operazione negli USA la migliore opportunità per lo sviluppo della propria azienda (74%) e hanno preso in considerazione la possibilità di farlo in futuro (71%). Ad incoraggiare le aziende verso tale orientamento sono la presenza di un mercato maturo e solido che può contare su quasi 320 milioni di abitanti (61%), un sistema fiscale certo e trasparente che non ammette “furbetti” (56%) sia per quanto riguarda l’import, sia per quanto riguarda l’export, e una tassazione concretamente vantaggiosa per le aziende straniere che vogliono investire negli USA (52%).

“Il primo ostacolo per gli investitori è confrontarsi con un sistema fiscale diverso dal nostro – spiega Vittorio Salvadori di Wiesenhoff, partner della sede milanese dello studio legale internazionale K&L Gates e responsabile del dipartimento di diritto tributario –. Il primo e fondamentale step è valutare le conseguenze fiscali derivanti dalla tipologia d’ingresso che viene effettuata sul mercato statunitense. Anche in assenza di una presenza fisica sul territorio infatti c’è il rischio della creazione di una ‘stabile organizzazione’, instaurabile in alcuni casi anche con un accordo commerciale con terzi (ad esempio, con un distributore locale), che implica il pagamento di imposte negli Stati Uniti . Qualora, invece, si decida di avere una presenza più strutturata nel Paese, con la costituzione di una società in loco, occorre, da un lato, valutare quale sia la tipologia societaria più adatta, non solo sotto il profilo fiscale, al perseguimento dei propri obiettivi, e, dall’altro, scegliere lo Stato dove procedere alla costituzione (la scelta ricade di frequente sul Delaware, in considerazione di una legislazione societaria estremamente evoluta e flessibile; tuttavia, per gli insediamenti produttivi c’è di solito coincidenza tra lo Stato in cui si trova l’insediamento e quello in cui viene costituita la società). In conclusione, le problematiche maggiori e gli ostacoli più frequenti sono di carattere conoscitivo, ovvero la scarsa familiarità con una fiscalità diversa dalla nostra: il suggerimento è di non andare allo sbaraglio, e rendersi conto che ci si sta affacciando in un mercato diverso che richiede l’assistenza di consulenti esperti per trarre i maggiori vantaggi da questa economia incredibile”.

Se Olanda, Giappone e Svizzera sono i primi tre paesi investitori negli USA con flussi rispettivamente di €29,3 miliardi, €25,4 miliardi e € 17,7 miliardi, secondo i dati diffusi dalla Farnesina, l’Italia nel 2014 ha fatto affluire nel mercato americano ben €2,8 miliardi, un aumento che sfiora il 50% rispetto agli €1,5 miliardi del 2013. Una tendenza che vede un ritorno dei capitali italiani, oltre che negli Stati Uniti, anche in altre parti del mondo. Secondo gli esperti, gli altri mercati dove si stanno maggiormente concentrando gli investimenti sono l’Iran, grazie alla revoca delle sanzioni internazionali a seguito dell’accordo sul nucleare del luglio 2015, la Cina, l’India e il Brasile; mercati che, sebbene abbiano progressivamente aumentato la loro redditività, a causa della loro instabilità economica e politica, rappresentano ancora territori ad alto rischio per gli investimenti di capitali stranieri.

 

“Il mercato statunitense – dichiara Gino Cocchi, Presidente della Commissione Internazionalizzazione di Confindustria Emilia-Romagna –  si sta affermando come uno dei principali mercati di riferimento per le imprese emiliano-romagnole. L’Emilia-Romagna, con la sua economia fortemente orientata ai mercati esteri (siamo la prima regione d’Italia per export pro capite, la terza per investimenti diretti all’estero),  gioca un ruolo di primo piano nei rapporti di interscambio del nostro Paese con gli USA: con il 17% del totale delle esportazioni nazionali, siamo la seconda regione, dopo la Lombardia, per export verso il mercato statunitense.Il riemergere degli USA quale principale mercato di sbocco per l’Italia si deve da un lato all’apprezzamento e alla crescente attenzione degli americani per i prodotti del “made in Italy”, simbolo di qualità e di stile, dall’altro dalla particolare congiuntura dei mercati internazionali che sta premiando i Paesi, come gli USA, che possono vantare stabilità e dinamicità economica, ma soprattutto un sistema di regole e leggi certo e trasparente”.

 

Il sondaggio effettuato da K&L Gates Legal Observatory porta, inoltre, alla luce quegli aspetti che gli imprenditori percepiscono come difficoltà maggiori nell’approcciare gli investimenti oltreoceano che spesso, proprio a causa di queste difficoltà vengono abbandonati:  in primis le questioni burocratiche (75%), la scarsa conoscenza della tutela legale (65%) la lenta ripresa economica (52%) nonché perplessità circa la possibilità di creare una rete di vendita capillare ed efficace (42%) e la mancanza di banche italiane su cui fare affidamento (36%). Molti degli imprenditori interrogati ritengono però che tali criticità siano controbilanciate da un grande potere d’acquisto delle famiglie statunitensi (69%), dall’affinità di gusti e tendenze tra il mercato italiano e quello d’oltreoceano, in particolare dall’apprezzamento americano per il made in Italy, (49%) e da un vastissimo numero di consumatori (44%).

 

Arturo Meglio, avvocato partner di K&L Gates esperto in ambito societario: “Dal nostro punto di vista la prima difficoltà riguarda  la poca dimestichezza degli imprenditori con la normativa legale americana che peraltro non è unitaria ma differisce su base statale oltre a prevedere anche una regolamentazione federale in alcune materie. Si tratta   di un sistema molto competitivo che può offrire tante opportunità, ma che fa incontrare anche delle difficoltà oggettive, come le dimensioni notevoli del mercato, la lingua, la scarsa conoscenza del sistema e la difficile gestione organizzativa che richiede un team specializzato di professionisti che segua tutte le fasi: dalla scelta della banca, fino alla costituzione della società ed all’attività sia ordinaria che straordinaria della stessa. Per quanto riguarda invece gli stati più attrattivi per i capitali italiani si possono citare quello di New York, la California, la Carolina del Nord, che per esempio a Charlotte  e Carolina del Sud, con  Charleston, offrono degli incentivi, e il Delaware che presenta una normativa societaria più flessibile. Tutte queste considerazioni, in aggiunta al sempre centrale tema fiscale oltre che ovviamente a valutazioni di business, impattano sulla scelta d’iniziare con una sede di rappresentanza o una più operativa o addirittura aprire degli stabilimenti; temi importanti per riuscire a sfruttare appieno le maggiori potenzialità del mercato americano, ovvero la certezza del diritto, la ricchezza di un mercato maturo e un sistema politico stabile. Esistono anche altri mercati importanti, come quello di Cina e India, ma non danno le stesse garanzie politiche, giuridiche e finanziarie”.
















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