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Bologna, 2 agosto 2015, XXXV anniversario: i discorsi del sindaco Merola e del Presidente dell’Associazione familiari delle vittime, Bolognesi

2-Agosto-Bologna-archivio-Umberto-GaggioliL’intervento  del Sindaco di Bologna, Virginio Merola, tenuto in  piazzale  Medaglie  d’Oro,  in  occasione della commemorazione del XXXV anniversario della strage alla stazione del 2 agosto 1980.

“Ancora  una volta, per la 35 esima volta, ci ritroviamo insieme ai parenti delle  vittime  del  2  agosto.  A  loro,  come  sempre, va la nostra piena vicinanza e il nostro impegno per non dimenticare.

Cari  familiari,  le  vostre  sofferenze  sono strettamente legate a quelle della nostra comunità, sono parte della nostra memoria come singole persone e  come città. E la vostra protesta composta e civile è la nostra protesta.

Siamo  al    vostro fianco, camminiamo insieme ogni anno per raggiungere la verità,  per  sapere  la  completa  verità e ottenere giustizia completa. E insieme  ragioniamo di come andare avanti, come non rinunciare, come fare a dare  forza  e  tenacia a una speranza che è speranza di vivere in un Paese migliore,  capace  di  chiudere  i  conti  con il passato sulla base di una comune volontà di giustizia e verità.

Cerchiamo  la risposta rivolgendoci ai nostri giovani, con tante iniziative didattiche  nelle scuole, intrecciando sempre più l’esercizio della memoria con  l’iniziativa  culturale in ogni campo, dalla ricerca storica fino alla musica,  al  cinema,  al  teatro.  Lo facciamo per continuare a narrare e a tramandare  la storia di famigliari e di una città che hanno saputo reagire alla violenza senza smarrire la propria anima. Restando vicino alle vittime e  ai  loro  famigliari, restando uniti, non cedendo alla rassegnazione e a chi vuole la disgregazione per dividerci.

Noi  siamo  una città, cari famigliari, che nel proprio gonfalone la parola libertà, ha solo quella parola, e ha saputo farle onore diventando Medaglia d’oro  al  valor  militare  per  la resistenza e Medaglia d’oro al al valor civile  per come ha saputo essere solidale e unita in quel due agosto 1980.

Siamo  una  città  che sa che la libertà autentica, quella che si relaziona agli  altri  e  insieme  agli altri cerca di costruire è una libertà che fa rima  con  responsabilità,  che  è una assunzione di impegno personale e di comunità, e lo testimoniamo in questo giorno, con orgoglio e con dignità.

Molti  di  noi  ricordano dove erano quel giorno e lo tramandano a chi quel giorno  non  era  ancora  nato. Molti si chiedono come sarebbe oggi la vita delle  persone che sono state assassinate barbaramente. Il tempo interrotto dalla   violenza   brutale  e  pianificata  di  un  terrorismo  spietato  e insensibile alle persone perché in esse vede solo un oggetto, uno strumento per i propri fini totalitari e antidemocratici.

Questa  strage  fascista ha avuto la complicità di apparati dello Stato, ha avuto  dei  mandanti  che  hanno  cercato  di depistare le indagini. Questa verità  ha  bisogno  di  verità  giudiziaria.  Ha  bisogno  di  prove  e di identificare  volti.  Ma  noi  non aspettiamo le prove per sapere la verità storica.  Sono  stati  fascisti gli attentatori, ma per noi i mandanti sono stati  i  nemici  di  un  progresso  e  di un allargamento della democrazia repubblicana e costituzionale.

Ogni  anno  torniamo  a chiederci insieme quanto durerà tutto questo e come possiamo  tornare  a  dirlo.  Poi  ci  ritroviamo  in tanti e questo nostro appuntamento  di  cittadini,  questo  nostro camminare insieme, dice più di ogni  parola e fa, agisce meglio di ogni parola. Dimostra quello che siamo, insieme  ai famigliari e lo propone alla nostra Italia: il nostro minuto di silenzio  in  ricordo  delle  vittime innocenti è una tenace fermezza e una ostinata  volontà di una Repubblica, di un vivere civile ordinato e giusto, di  istituzioni,  di  governi  e  di  parlamenti  che  sappiano con i fatti mantenere un impegno.

Noi  non  vogliamo, non possiamo, non dobbiamo per rispetto di noi stessi e della  nostra  dignità  di  cittadini  di Bologna distinguere tra governo e governo,  se ogni governo ci delude. Oggi davanti ai familiari da parte del sottosegretario  Claudio  De  Vincenti, sono stati presi rinnovati impegni, fissate  date,  è  stato  delineato  un  percorso preciso e concreto. Bene, grazie.  Noi  però vogliamo, e lo diciamo all’intero Paese, che si perde in infinite  diatribe  e  conflitti  fratricidi, vogliamo che parlino i fatti, perché  le  parole  possono  essere  belle, ma i fatti rendano credibili le parole.

I nostri partigiani parlavano con i fatti. Le persone presenti a Bologna il 2 agosto hanno parlato con i fatti, prestando soccorso alle vittime 35 anni fa  e  oggi  siamo  qui,  perché qui è il nostro posto, davanti alla nostra stazione.  Noi  parliamo con i fatti e ascoltiamo con rispetto le parole di chiunque,  ma  vogliamo  i  mandanti  delle stragi, vogliamo verità piena e giustizia.  Per  noi,  per  i  familiari  delle  vittime,  per  le  giovani generazioni. Per questa bella Italia, che merita di più”.

****

L’intervento del Presidente dell’Associazione familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna, Paolo Bolognesi.

“Si sono trovati nel posto sbagliato, al momento sbagliato”.

Questa frase è stata detta e pensata da molti e ci è stata ripetuta spesso, riguardo  ai  nostri  cari,  ma gli 85 morti e i 200 feriti che il 2 agosto 1980 vennero colpiti da un micidiale ordigno collocato nella sala d’aspetto di  questa  stazione,  non  erano  affatto  nel  posto sbagliato al momento sbagliato.

Non  erano  nel  posto  sbagliato al momento sbagliato, Paolo e Viviana, 23 anni,  novelli sposi, in attesa del loro primo figlio che erano in stazione per  prenotare  per  tempo  il  traghetto per la Sardegna. Non era nel posto sbagliato al momento sbagliato, John, studente inglese di 22 anni che, dopo un  lungo anno di studio, si era regalato un meritato viaggio in Italia con la fidanzata  Catherine.

Non  era  nel posto sbagliato al momento sbagliato, Angela, 3 anni, che con la  mamma  Maria, 24 anni, aspettava il treno per poter arrivare finalmente in spiaggia e giocare con sabbia e secchiello.

Non era nel posto sbagliato al momento sbagliato, Rita, 23 anni, che con le colleghe  Katia,  Euridia,  Nilla,  Franca,  e  Mirella, lavorava come ogni giorno nell’ufficio amministrativo del ristorante della stazione.

Non  era  nel  posto  sbagliato  al momento sbagliato, Sergio, 24 anni, che aspettava nella sala d’aspetto, la coincidenza per un treno.

In quell’assolato sabato d’agosto, primo giorno di ferie per tanti, nessuna delle  85  vittime  e  dei  200  feriti  era nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Nel  posto  sbagliato  al  momento sbagliato erano invece Francesca Mambro, Giuseppe  Valerio  Fioravanti e Luigi Ciavardini, terroristi fascisti i cui rapporti  con  la  Loggia  P2 appaiono ormai innegabili, che collocarono la bomba  in  stazione,  e   che  già  avevano  ucciso,  40  giorni  prima, il coraggioso  magistrato  Mario  Amato,  che  indagando sui gruppi fascisti e sulla  loro  rete  eversiva  aveva  intuito il micidiale piano criminale in preparazione.

Era  il  piano  criminale  che  7  mesi prima aveva portato ad eliminare il presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella che, riprendendo le politiche  dell’amico  Aldo Moro, si apprestava a riproporre nella politica italiana  le  nuove  posizioni  di  netta chiusura alla mafia e di apertura verso  i  partiti  di  sinistra.  In  quegli  anni dunque le forze eversive scatenarono   un vero e proprio assalto alla democrazia. Lo ha recentemente ammesso  lo  stesso  capo della P2, Licio Gelli, il quale ha specificato di avere   potuto  contare  sul  supporto  di  Gladio  e  di  altre  strutture clandestine,  alimentate  dalle  formazioni  neofasciste  con la protezione degli  apparati dello Stato.

Nel  posto  sbagliato al momento sbagliato erano il generale  Musumeci e il colonnello   Belmonte,  alti funzionari dei Servizi Segreti che di concerto con  Licio  Gelli  e Francesco Pazienza, invece di compiere il loro dovere, hanno  depistato  le  indagini,  per  cercare  di  sviarle  dai  terroristi fascisti.

Oggi,  a  distanza  di  35 anni, occorre riconoscere che i nostri sospetti, maturati  all’indomani  della strage, si sono rivelati più che fondati e lo confermano  anche  elementi scaturiti da indagini giudiziarie all’epoca non direttamente collegate a fatti di terrorismo e di eversione.

Un  puzzle della Verità da consegnare alla Storia  che abbiamo continuato a mettere  insieme,  pazientemente,  pezzo  per pezzo, recuperando verità che sarebbero altrimenti rimaste sepolte. La valutazione della documentazione e dei  fatti  è  al  vaglio  della  Magistratura.  Il  materiale è numeroso e complesso, ma finalmente in grado di mettere insieme un mosaico fino ad ora disperso.

Uno  di  questi,  ad  esempio,  è il documento sequestrato a Licio Gelli al momento   del   suo   arresto  in  Svizzera,  scritto  di  suo  pugno,  con l’intestazione  “Bologna”  seguita  da  un  numero di conto corrente di una banca svizzera.

Il  documento riporta un finanziamento di oltre 15 milioni di dollari fatto da Gelli in favore di più persone subito prima e subito dopo la strage:  la stessa   cifra  che  il  banchiere  Roberto  Calvi,  presidente  del  Banco Ambrosiano,  durante una conversazione con Flavio Carboni, registrata dallo stesso  Calvi.  prima  di  essere  ucciso,  dichiara  provenire dai Servizi Segreti.

Questo  appunto era stato acquisito dai magistrati milanesi che conducevano l’inchiesta sul fallimento del Banco Ambrosiano, ma non fu mai trasmesso ai colleghi di Bologna che indagavano sulla strage.

E’  un  dato importante, emerso recentemente dagli atti del processo per la strage  di  Brescia,  che  ci permette di avere traccia e di ricostruire il flusso  e  i beneficiari di quelle somme versate da Gelli  e verosimilmente riconducibili alla strage.

Altro  elemento  inedito  è l’acquisizione della prova che nel 1984 Gelli è ospitato ad Assuncion in Paraguay dal leader ordinovista Elio Massagrande e che  –  tramite  lui  –  gli  ordinovisti  Paolo Marchetti e la moglie Rita Stimamiglio manifestano il proposito di incontrarlo. I due sono gli stessi, proprio gli stessi, che ospitano a Padova, nei mesi successivi alla strage, Fioravanti e Mambro.

Sono tasselli importanti di verità, fino ad oggi mancanti, che in questi 35 anni  non  abbiamo  mai  smesso  di cercare, analizzare, ricostruire con un lavoro  paziente di incrocio di dati contenuti nelle migliaia e migliaia di atti  giudiziari  di  processi per eversione, mafia, reati finanziari e che oggi,  ci  permette  di  avere  una  lettura globale di ciò che avvenne, di identificare  i  nomi  e  i  ruoli  dei molti rimasti ancora fantasmi della Storia e di vicende allora definite misteriose o incomprensibili.

Una  lettura  globale  dei fatti che ci ha permesso di superare quel limite che,  nei  decenni,  ha  caratterizzato le indagini giudiziarie concentrate solo  sulla  ricerca  degli esecutori, ma non dei depistatori, dei mandanti della  strategia  eversiva  delle  stragi,  dando  così  alla giustizia una parziale verità.

Dopo  41  anni  grazie  alla tenacia dell’associazione dei caduti di Piazza della  Loggia, dei loro avvocati e grazie alla meticolosità dei giudici, si è  arrivati  alla  condanna  all’ergastolo per l’esecuzione della strage di Brescia  del  responsabile  di Ordine Nuovo nel Veneto, Carlo Maria Maggi e del  suo  adepto  Tramonte, collaboratore dei Servizi Segreti. Una sentenza estremamente  importante,  che fa ampia luce sul disegno criminale eversivo che ha insanguinato il nostro Paese.

Solo  in  anni  recenti  molte  sentenze  hanno  riconosciuto l’esistenza e l’operatività  pluridecennale  di un progetto politico di destabilizzazione del  Paese  che  ha  utilizzato  le  stragi come strumento di controllo del consenso  politico  e  per il quale si attivò un’organizzazione clandestina strutturata  a  vari livelli, composta anche da apparati militari che hanno agito  all’interno  del  sistema  occultando  e  depistando  impunemente le indagini senza pagare in termini di carriere e condanne giudiziarie.

Una  pagina  vergognosa  della  nostra  Storia  che non potrà ripetersi con l’approvazione  della  legge  – presentata dalle nostre Associazioni –  che introduce il reato penale di depistaggio.

Dopo  l’iniziale,  apparente  consenso  parlamentare con il voto favorevole della  Camera,  la  legge è rimasta, però, chiusa in un cassetto del Senato nonostante  i nostri inascoltati appelli perché venga discussa e approvata.

Ci chiediamo cosa è accaduto.  Perché dopo il voto del Parlamento l’iter di questa  proposta  di  legge  è stato bloccato.  Quali carte hanno messo sul tavolo  gli  apparati,  a  tutela  della  loro  immunità,  perché non venga approvata definitivamente?

Dopo   35   anni,  attendiamo  un  segnale  concreto  di  cambiamento,  un’ innovazione  culturale  e  democratica  di  classe politica ed apparati, un risarcimento  morale  di  dignità e giustizia, – seppur postumo e tardivo – alle  vittime  di  stragi  e  ai loro familiari con una scelta politica che definisca  concretamente  regole chiare a garanzia del futuro, che confermi la   volontà   di  introdurre  il  reato  di  depistaggio  per   privare  i “persecutori  della  verità” di un’impunità che ha offeso, fino ad oggi, la Giustizia di questo Paese.

Un cambiamento a metà, non è un cambiamento, ma un modo per continuare – da parte di chi ne ha interesse –  a conservare il vecchio sistema  con metodi diversi.

L’indifferenza  verso  la  nostra  Storia,  verso  ciò  che è avvenuto, nei confronti  dei  familiari  delle  vittime,  dei  feriti,  di una città come Bologna  e  di  una  società  civile  che  ha  sempre  saputo scegliere con determinazione  e  coraggio  da  che parte stare, dalla parte della Verità, significa perpetuare la stessa strategia politica con altro nome.

Ma  noi lo sappiamo. Ieri come oggi. Sappiamo che nessuno deve e può essere immune  dal  passato,  perché  spesso  la storia si ripete, anche se cambia volto, divisa o nome.

Sappiamo  anche che gli apparati, i loro eredi, complici e amici continuano ad  operare, con metodi e strumenti sostanzialmente invariati, per impedire a  questo  Paese un vero e reale cambiamento che deve iniziare dalla Verità sulla nostra Storia.

Nel  posto  sbagliato  al momento sbagliato, si sono collocati anche coloro che hanno tentato di riesumare la fantomatica “pista palestinese”: infatti, quella, che risultò già subito dopo la strage uno sviamento delle indagini, è stata confermata come tale anche nel presente e a buon diritto archiviata come  una  clamorosa bufala, messa tra i piedi della Procura di Bologna, da chi  non ha mai voluto la verità sulla strage del 2 agosto 1980 e ancora si adopera,  nel  tentativo  di  coprire  le  responsabilità  di  esecutori  e mandanti.

Nel manifesto di quest’anno abbiamo scritto: 35 anni senza mandanti; un Paese evoluto deve trovare il tempo per ricostruire la sua Storia uno  Stato di diritto deve trovare il tempo per dare giustizia alle vittime della violenza una  democrazia moderna deve trovare il tempo per contrastare il terrorismo e le mafie  non c’é democrazia senza responsabilità.

Questo  è  alla  base della convivenza democratica su cui si basa la nostra Costituzione.

Infatti  dopo tanto tempo ancora non si è fatto quel passo determinante che permetta  di imboccare la strada che superando gli ostacoli veri o presunti porti a colpire i mandanti e gli ispiratori politici della strage.

Il  voluminoso  dossier sui mandanti, frutto di anni di lavoro, che abbiamo consegnato   agli   inquirenti  è  l’occasione  per  fare  compiutamente  e definitivamente giustizia.

Ora la Procura di Bologna può finalmente affrontare, in maniera precisa, la pista che porta ai mandanti.

Del  resto,  che  nuovi  spunti  investigativi,  possano  venire  anche dai risultati di recenti indagini, è confermato  dalla cronaca di questi ultimi mesi:  alla  fine  dello  scorso  anno,  una  maxi inchiesta condotta dalla Procura  di  Roma,  ha  svelato  la cosiddetta “Mafia Capitale”, una cupola nera, nata da ex componenti della Banda della Magliana, che avrebbe gestito gli  affari  a  Roma per anni, pilotando appalti, in accordo con i clan del litorale, con boss vicini alla camorra, politici e burocrati.

Tra  i  nomi  dei 37 arrestati, e dei 100 indagati, è amaro constatare come tanti sono nomi già  noti, già pronunciati e già denunciati da questo palco da tempo.

Tanti sono i nomi di pregiudicati, ex appartenenti ai NAR, l’organizzazione terroristica  capeggiata dagli esecutori materiali della strage di Bologna, Fioravanti  e  Mambro, responsabili tra l’altro, di altri 33 omicidi tra il 1977 ed il 1981.

Tra  i  nomi degli indagati, spicca quello di Gianni Alemanno: è negli anni in  cui  a Roma governava la sua giunta che il sodalizio criminale scoperto dall’inchiesta, diventa forte e potente.

Nei  guai, torna anche Gennaro Mokbel, amico intimo di Mambro e Fioravanti, già  condannato  in  1°  grado  a  15  anni per il maxi riciclaggio Telecom Sparkle-Fastweb. Ma è Massimo Carminati, colui che gli inquirenti pongono a capo   di  questo  inquietante  network  criminale-politico.  Quel  Massimo Carminati  legato  a  Fioravanti fin dai banchi di scuola e coinvolto nelle indagini   sui  più  loschi  e  sanguinosi  fatti  della  storia  d’Italia, dall’omicidio del giornalista Mino  Pecorelli, al depistaggio per la strage di  Bologna.  Carminati,  del  quale  da  anni  denunciamo lo spessore e le capacità  criminali, in una intercettazione telefonica, arriva a svelare il “manifesto  programmatico”  della sua attività criminosa: “Tutto si mischia nel  mezzo”  dice  “perché  la  persona che sta nel sovramondo – politico o imprenditore  –  ha  interesse che qualcuno del sottomondo gli faccia delle cose che non può fare nessuno”.

Difficile,  per  noi,  che questa frase non evochi un pensiero diretto agli esecutori  materiali ed ai mandanti della strage del 2 agosto 1980, ai loro legami  reciproci  ed  alle loro inconfessabili protezioni, ai tentativi di depistaggi pilotati ad arte dai Servizi Segreti e dalla P2.

Come la Loggia Massonica P2, la “terra di mezzo” non ha confini netti, è un mondo dove contano i soldi, non i colori o le ideologie:  lo dimostra anche il  coinvolgimento  nel  malaffare  di  esponenti  politici  della sinistra capitolina.

La “terra di mezzo” non è la destra, non è Roma: è l’Italia.

E’  quel groviglio di interessi tra potere e politica, criminalità e affari che troppe volte ha caratterizzato la storia del nostro Paese.

Non  è  un  caso  che  l’inchiesta  stessa,  abbia  accertato  come Massimo Carminati  sia stato avvertito di essere  sotto indagine da due poliziotti, da  due uomini dello Stato che, invece di stare dalla parte della legalità, hanno invitato Carminati a cautelarsi.

Ecco  un  altro triste esempio di persone collocate, nel posto sbagliato al momento sbagliato, un’altra concreta prova di come certi utili delinquenti, abbiano  goduto  e  continuino  a  godere  di  appoggi  e  coperture  anche all’interno dello Stato.

Gli  investigatori  non  credono  più alle coincidenze di tanti delitti, di tante  acrobazie  finanziarie,  nelle quali compaiono gli stessi nomi e gli stessi  protagonisti,  tra  i  quali spiccano veterani degli anni di piombo abituati   a   trattare   con  le  istituzioni  a  Palazzo  così  come  con organizzazioni criminali del calibro di mafia, ‘ndrangheta e camorra.

La  storia si ripete. Non si tratta di collusioni nuove, sono le stesse che sopravvivono.

E  ci  sono ancora molti documenti da analizzare, anche dei vecchi processi di  strage,  di  mafia,  di deviazioni dei poteri dello Stato e di scandali finanziari  che  ci  porteranno  ad  altre  inedite  correlazioni,  a nuovi elementi.

Perché  queste diverse componenti interagiscono da tempo, in un intreccio a lungo  ignorato  purtroppo  da  molte Procure. Occorre afferrare il capo di questo  filo  nero  che  –  per  quel  che già è emerso –  riconduce ad una struttura  costituita  nel  1965  all’interno  dei Servizi Segreti dal gen. Giuseppe  Aloia,  dal  col.  Allavena,  dal  col. Rocca. E’ un Paese ancora ostaggio dei propri ricatti. Di quegli apparati, dei loro eredi, complici e amici che continuano ad operare per tutelare la propria impunità.

Ci  auguriamo  che  questa volta, l’inchiesta romana non segua il deludente percorso  che troppe volte hanno fatto analoghi scandali italiani, come, ad esempio,  è  avvenuto  per  i componenti della Banda della Magliana e per i terroristi  fascisti  Mambro,  Fioravanti  e Ciavardini. In entrambi questi casi,  infatti,  dopo l’iniziale tempesta giudiziaria è seguita, nella fase processuale  e soprattutto nell’esecuzione della pena, una sostanziale – e, apparentemente   incomprensibile   –   indulgenza.  Il  caso  di  Mambro  e Fioravanti  è  emblematico,  da manuale dell’impunità: 7 ergastoli a testa, centinaia  di  anni  di  carcere  per reati gravissimi e sono completamente liberi  da  anni,  avendo  scontato  solo  2 mesi di carcere per ogni morte causata.  In  un  Paese normale due stragisti non avrebbero già scontato la loro pena.

Di questa vergogna, più volte denunciata dalla nostra Associazione, abbiamo chiesto  conto  al  Governo presentando un’interrogazione al Ministro della Giustizia. Dopo ben due anni è arrivata una risposta burocratica, evasiva e contraddittoria  che  non ci ha assolutamente soddisfatto. E continueremo a chiedere  spiegazioni  sul  perché,  andando  contro ai requisiti di legge, siano  stati  concessi questi “strani” benefici agli esecutori della strage di  Bologna. Vogliamo sapere perché sono state sistematicamente ignorate le intercettazioni  telefoniche  dalle  quali  emerge chiaramente il connubio, ancora  attuale,  tra  Fioravanti  ed  altri  personaggi  della Banda della Magliana.  Vogliamo  capire perché per il Ministero e per alcuni giudici di sorveglianza  non ha nessuna rilevanza penale sapere che dalla cassa comune della banda escono i fondi per far uscire dal carcere Mambro e Fioravanti.

L’impunità  è  una  moneta  preziosa.  E noi vogliamo capire chi, e perché, continua a pagare il prezzo del loro silenzio ed il loro sostegno.

“E’  un  già  visto”,  per  noi,  quando  assistiamo  al sostegno mediatico garantito  ai  terroristi  dato  da  persone  assolutamente non informate – volutamente  o meno – incapaci, quindi, di contrastare la loro menzogna con validi  argomenti  e  proprio  per  questo  utili a chi ancora ha interesse continuare  a  seminare  l’ignoranza  sulle  stragi,  tentando di spacciare spietati  killer  –  che hanno seminato morti e croci –  come bravi ragazzi dal passato un po’ ribelle.

Su  questa  falsariga  qualcuno continua ad alimentare ridicoli, patetici e offensivi  depistaggi mediatici  come quello andato in onda qualche mese fa su  una  nota  emittente  romana,  in  cui  è  stata  dedicata  una  intera trasmissione a Valerio Fioravanti, presentato come un intellettuale.

In  questa ennesima intervista, senza il minimo contraddittorio, Fioravanti ha  continuato a propinare le sue menzogne e cercato di spacciare le azioni terroristiche  di cui si è reso protagonista, come un mezzo di reazione per ribellarsi ad un potere superiore.

La  verità  è proprio l’opposto di quanto affermano: Mambro, Fioravanti e i NAR,  di  cui  erano i capi, stavano esattamente al servizio di quel potere superiore  che  –  tra  l’altro  –   aveva garantito loro  la copertura dei Servizi Segreti, come testimoniano le sentenze.

Anche alla menzogna occorrerebbe porre un limite di dignità.

Ancora  una  volta confidiamo nell’impegno necessario pari all’importanza e alla   complessità   del   compito   affidato,   anche   tenendo   presente l’insegnamento  di Giovanni Falcone: “segui i soldi per trovare la verità”.

Chiediamo che la Magistratura non sia lasciata sola. I ministeri competenti devono  assicurare  organizzazione  di uomini e mezzi. Insistiamo su questo punto.

E  i  soldi  sembrano  l’unico  argomento  a  cui personaggi come Mambro e Fioravanti  si mostrano sensibili: nel novembre scorso, gli esecutori della strage di Bologna, sono stati condannati al pagamento di oltre due miliardi di  euro  quale risarcimento danni per la bomba alla stazione. Naturalmente l’apparato  dei  fiancheggiatori  e  sostenitori  dei  due  stragisti  si è attivato.

Tra  questi,  si  è  distinta  Laura  Arconti,  membro  della Direzione dei Radicali  Italiani,  che ha pubblicato un livoroso articolo nel quale, dopo aver  rispolverato  e  sponsorizzato  la  pista teutonico-palestinese – già sostenuta  da  Licio  Gelli  e Cossiga – si è scagliata duramente contro la giudice che aveva osato condannare i due assassini al doveroso risarcimento del danno.

La  Arconti   ha  definito  la giudice Francesca Neri: “una modesta signora giudice che aveva voglia di uscire dall’anonimato”.

Noi  vogliamo qui esprimere gratitudine e solidarietà al magistrato, che ha semplicemente  fatto quello che prima di lei hanno fatto Vittorio Occorsio, Emilio  Alessandrini, Mario Amato, Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e che ogni  giorno  compiono magistrati come Nino Di Matteo e Nicola Gratteri: ha fatto  cioè  il suo dovere e lo ha fatto con coraggio, onorando la toga che indossa, incurante delle protezioni che può vantare chi è sottoposto al suo giudizio,  affinché  quella  scritta  che  appare nei tribunali “la legge è uguale per tutti” non apparisse come una risibile barzelletta.

E’ vergognoso che in Italia, fare ciò che è giusto, esponga un magistrato, alla  pubblica  diffamazione di un oltraggioso articolo come quello firmato dalla Arconti, che non soddisfatta, ha poi scagliato i suoi velenosi strali contro  la  nostra  Associazione  e  contro  il  suo  presidente, definendo “persecuzione” la nostra pretesa di giustizia e verità.

Cari  amici,  il  ricordo  collettivo è il fondamento della democrazia e il nemico  dei  carnefici. Conoscere e ricordare la propria storia – e lo dico soprattutto  ai   giovani  presenti  –   ci  permette  di  essere cittadini consapevoli,  che scelgono di credere, affermare e difendere quei valori di libertà e democrazia che sono l’architrave della nostra convivenza civile.

Per   questo,  come  Associazione,  ci  siamo  impegnati  a  promuovere  la conoscenza e la memoria in tutte le occasioni possibili. Cito,  in  particolare,  il   protocollo  d’intesa  che  il  Ministro della Giustizia  Andrea  Orlando  e  quello dei Beni Culturali Dario Franceschini hanno  firmato  per la digitalizzazione degli atti di processi di interesse storico,  a  cura  della “Rete degli archivi per non dimenticare”, a cui la nostra associazione partecipa.

Questo  è un evento importante che apre alla possibilità che tutti gli atti di interesse storico giudiziario non vadano persi e possano essere raccolti e valorizzati così da permettere a tutti di conoscere e ricostruire in modo corretto la storia criminale e politica del nostro Paese. È importante però che  questo  lavoro  sia sostenuto e che anche il portale della “Rete degli archivi  per non dimenticare”, fortemente voluto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, non sia abbandonato a se stesso.

Inoltre,  grazie  all’Assemblea  Legislativa  della Regione Emilia-Romagna, ogni  anno  vengono  organizzati laboratori con studenti di ogni età che ci dimostrano  come  i  giovani  siano attenti e interessati ad approfondire i temi  del  terrorismo  e  delle  stragi:  pronti a diventare, attraverso la conoscenza della storia,  il futuro del Paese.

Sono  iniziative  importanti perché ci permettono di tutelare la Memoria  e renderla   bene  comune,    impedendo  che  tutti  gli  atti  di  interesse storico-giudiziario vadano persi, dando la possibilità ad ogni cittadino di conoscerli  per  poter  ricostruire  in  modo corretto la storia del nostro Paese.  L’anno  scorso  abbiamo apprezzato pubblicamente la direttiva della Presidenza  del  Consiglio  con la quale si sono declassificati i documenti relativi  alle  stragi,  dal  1969  al 1984, ma abbiamo, da subito avanzato alcune perplessità sulla reale volontà delle amministrazioni interessate ad attuarla  integralmente.  Purtroppo  oggi  dobbiamo  constatare che avevamo ragione.

Il   deposito   parziale   dei   documenti,  i  ritardi,  la  discrezionale preselezione  degli  atti da versare da parte di Ministeri e Servizi, senza un  controllo esterno, ci fa dire che l’obiettivo della direttiva – cioè la totale  trasparenza su quei fatti – non solo non è garantita ,ma rischia di essere  una  chimera.  Criticità  che  abbiamo  più  volte  segnalato  alla Presidenza  del  Consiglio  perché  le  risolvesse  e  non  si svuotasse di significato  un  atto politico di trasparenza attraverso quella che abbiamo definito la strategia del faldone vuoto.

Attendiamo ancora una risposta.

Come  risposte  –  a  distanza  di  undici anni dalla sua approvazione – le attendiamo  sulla  completa  attuazione  della  legge sui risarcimenti alle vittime  di stragi (la 206 del 2004), nonostante gli impegni presi nel 2013 e  nel  2014  dai  ministri  Graziano  Delrio  e Giuliano Poletti. Promesse ripetute  nel  tempo,  ma  rimaste  tali,  mentre  i familiari di vittime e invalidi  di  stragi  attendono ancora i benefici previsti dalla normativa, tanto  da  essere  costretti  ad intraprendere estenuanti e costosi ricorsi giudiziari-amministrativi  contro  Inps  e Ministero dell’Interno per poter ottenere,  o  sperare di ottenere, ciò che il Parlamento ha reputato giusto concedere a fronte di un danno fisico e biologico devastante.

Nonostante alcune norme approvate nell’ultima legge di stabilità, i vertici Inps  hanno  opposto  criteri  e  cavilli  interpretativi per ostacolare la puntuale  applicazione  della legge. Un comportamento sconcertante, fino ad oggi permesso in deroga alla democrazia,

E  mentre  il Governo ancora tace, questo è ciò che sono costrette a subìre le  vittime  e  i familiari delle vittime di stragi in questo Paese, ma noi non  ci arrendiamo, come non ci siamo mai arresi. Abbiamo chiesto a tutti i cittadini di aiutarci, firmando una apposita petizione, per far sì che ogni promessa  venga  mantenuta  e che nessun Governo possa offendere la memoria del  2  agosto  e  tutto ciò che quella ferita ha significato per la nostra nazione.

La nostra Associazione è nata 34 anni fa per perseguire giustizia e verità.

E’  stata,  ed è, sempre una battaglia difficile quella per la verità e per la  giustizia. Ma riteniamo che questo obiettivo sia il solo modo, per noi, per onorare i nostri cari. Abbiamo attraversato molti momenti bui, fatti di depistaggi  giudiziari e mediatici, di informazioni taciute da chi aveva il dovere  di  denunciarle  ed  abbiamo  dovuto  sopportare  gli atteggiamenti sprezzanti  degli  esecutori della strage, le menzogne interessate dei loro protettori, i troppi silenzi delle istituzioni.

Ma  nel  nostro  cammino, abbiamo incontrato anche persone mosse dai nostri stessi   ideali,   determinate  ad  opporsi  ad  una  cultura  fondata  sul privilegio,  sulla  sopraffazione  e  sulla  furbizia, per costruire invece insieme una società più giusta e solidale.

Tra  questi,  vogliamo  ricordare  i  partecipanti  alla  XX Giornata della Memoria  di  Libera  il  21  marzo  scorso,  proprio  nella  nostra  città.

Duecentomila  voci  si sono unite a quella di Don Luigi Ciotti, per dire no alla mafia e al terrorismo, in un lungo corteo per la legalità e in ricordo di chi ha perso la vita per mano della criminalità organizzata.

In  questi 35 anni, spesso quello Stato, che avrebbe dovuto proteggerci, ha ostacolato la nostra azione.

Ma  al nostro fianco abbiamo avuto anche la parte sana delle istituzioni il cui sostegno non è mai mancato, di  inquirenti capaci e  magistrati onesti, coraggiosi  che  ci  hanno  aiutato  ad arrivare a fondamentali elementi di verità sulla strage che ha colpito noi ed il Paese.

Coloro che più di tutti ci teniamo a ringraziare per l’affetto, il sostegno e la vicinanza che ci hanno dimostrato in questi lunghi anni, sono la città di  Bologna,  i  suoi  cittadini, la società civile, tutti voi che ci avete aiutato  a  portare  il  peso  del  nostro  lutto, a dare un senso a questa sofferenza  e  sostenuto  nella  nostra battaglia civile per la Verità e la Giustizia  che  non  è,  e  mai  dovrebbe essere, una concessione, bensì un diritto  di  ogni cittadino.La vostra vicinanza, morale e materiale, non ha potuto  restituirci i nostri cari, ma ha potuto illuminare un po’ il nostro cammino,  aiutarci  a  vedere la strada da seguire, spazzare via le nubi di rabbia  e  frustrazione  che  potevano  offuscare la nostra vera natura e i nostri  obiettivi,  per  provare  a  costruire  una società migliore in cui vivere, per tutti.

E’  nel  vostro  appoggio  prezioso  che  abbiamo  visto  prendere  corpo e concretezza  le  parole  di Giacomo Ulivi, uno dei condannati a morte della Resistenza,  che così scriveva ai suoi cari: “Tutti noi dobbiamo rifare, ma soprattutto   dobbiamo   rifare  noi  stessi.  L’inganno  peggiore  di  una “diseducazione  ventennale” è stato quello di convincerci della “sporcizia” della  politica  e  di  intaccare così la posizione morale, la mentalità di molti di noi. Credetemi:  la  cosa  pubblica  è noi stessi, la nostra famiglia, il nostro lavoro, il nostro mondo, ogni sua sciagura è sciagura nostra”.

Il  nostro  ringraziamento  più grande va a tutti voi, che anche oggi siete qui  in  questa piazza, il 2 agosto. Al nostro fianco: nel posto giusto, al momento giusto!

Grazie”.
















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