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Lega dei Socialisti Emilia Romagna: “Dove va la Fiat?”

La reazione della politica alle dichiarazioni di Fiat è assolutamente demagogica e stupida: chiedere a Marchionne quali siano le sue strategie, quando lui si è rifiutato sempre di assumersi la responsabilità di parlarne? La strada di Fiat, d’altra parte, sembra essere obbligata: spostare la commercializzazione sul mercato statunitense e su quello dei Brics, e ridurla su quello europeo, al contempo (ed anche per motivi fiscali) spostando a Detroit la sede direzionale del gruppo. E’ ovvio: sul mercato europeo la contrazione delle immatricolazioni è verticale e la Fiat perde immatricolazioni a ritmi superiori a quelli dei concorrenti, mentre su quello USA e su alcuni mercati emergenti (Cina, Brasile…) è possibile ancora crescere, perché tali mercati sono ancora in crescita, e non più meri mercati di sostituzione. E’ un’ovvia conseguenza del ciclo di vita di un prodotto: quando il mercato diviene maturo e di mera sostituzione, ogni manuale di management suggerisce di abbandonare tale mercato, prima che sopraggiunga l’inevitabile declino. E ciò al netto della recessione globale, che ha solo accelerato tale processo, non lo ha innescato.

Non a caso l’unica novità in casa Fiat, la Viaggio, è pensata proprio per il mercato cinese; non a caso, in casa Alfa Romeo, le novità dovrebbero essere rappresentate da una spider da coprodurre con la Mazda, ed una linea di Suv, autoveicoli particolarmente adatti ai mercati statunitensi e giapponesi; non a caso, in casa Lancia, la nuova Flavia e la nuova Thema sono anch’esse chiaramente tagliate per il mercato USA.

Dal punto di vista produttivo, anche in questo caso le scelte sono ovvie: non c’è bisogno di fare grandi ragionamenti. Di tutti i nuovi modelli sopra descritti, nessuno verrà assemblato in Italia. La Viaggio sarà prodotta in Cina; la spider Alfa – Mazda in Giappone, i SUV Alfa ed i nuovi prodotti Lancia negli stabilimenti statunitensi della Jeep/Chrysler. A ciò va aggiunta la Fiat Freemont, prodotta in Messico. Dei prodotti Fiat più recenti (quelli cioè che hanno ancora un ciclo di vita di almeno 2-3 anni) c’è spazio solo per tenere in vita, almeno fino al 2014/2015, gli stabilimenti di Cassino (che produce la Giulietta, le Delta e le Bravo), Melfi (in cui si produce la Punto 2012) e Pomigliano (che produce la nuova Panda) mentre il futuro di Mirafiori appare, francamente, praticamente segnato fin da subito: produce l’Alfa Mito, modello destinato ad essere presto messo fuori mercato o sottoposto ad un restyling, e di progetti futuri di investimento non sembra esservi alcun elemento certo. Molto incerto anche il futuro dello stabilimento Maserati di Modena, dove ci sono voci di spostamento delle linee produttive a Grugliasco, e dello stabilimento di Val di Sangro (produzione di veicoli commerciali in partnership con Psa, anche a causa della crisi di quest’ultima). Ovviamente gli stabilimenti di Grugliasco e di Maranello dovrebbero non avere problemi. Dopo il 2015, nella situazione più ottimistica, resteranno in piedi solo gli stabilimenti in grado di assicurare elevata disciplina del lavoro, alti indici di produttività, economie di scala, e che sono già a regime rispetto agli standard del WCM (che è la metodologia di base della produzione Fiat). E ciò mette a rischio anche Cassino.

Alla fine del processo di ristrutturazione, nello scenario migliore (ovvero in quello in cui la risi non induce a scelte ancora più drastiche) avremo una Fiat con il cervello (e quindi inevitabilmente anche le funzioni di ricerca, sviluppo, progettazione e design) a Detroit, un paio di stabilimenti di produzione di grandi dimensioni ancora in Italia (presumibilmente Melfi e Pomigliano) ed alcuni stabilimenti minori (Grugliasco per la Maserati, Maranello per la Ferrari, Termoli e forse anche Pratola Serra, per la produzione di motori e trasmissioni).

Anziché chiedere lumi a Marchionne, la politica ed il sindacato dovrebbero direttamente lavorare su uno scenario come quello sopra descritto. Iniziando a predisporre per tempo piani di reindustrializzazione delle aree di Mirafiori, Modena, Val di Sangro, ed in prospettiva Cassino, che prevedano la possibile nazionalizzazione degli impianti a compensazione della cassa integrazione versata all’azienda, anche in ragione dell’attuazione del mai attuato piano Fabbrica Italia, un loro possibile riutilizzo per la continuazione della produzione di autoveicoli, anche tramite acquirenti stranieri, oppure una loro riconversione per altri utilizzi. Evitando il disastro di Termini Imerese, in cui la politica si è fatta trovare impreparata.Tra l’altro, la politica in ciò potrebbe trovare alleati in quella piccola e media imprenditoria italiana, che Dalla Valle si candida a rappresentare, che vive del mercato interno, e che capisce come l’abbandono produttivo del nostro Paese da parte della grande industria è un colpo ferale ai già deboli consumi delle famiglie, ed al diffuso indotto di prima e seconda fascia generato dalla Fiat, tutto costituito da PMI, che contesta duramente Marchionne.

Ma quando Passera dice che userà solo gli strumenti “previsti dalle norme” per assicurare la continuità produttiva di Fiat in Italia, dimenticando che il Governo è lui, ed è quindi lui che deve fare le norme, non partiamo certo bene. Il disastro sarà inevitabile, con un simile atteggiamento. E la sua gestione sarà a carico del Governo che seguirà quello di Monti, come un pesantissimo fardello.

(Lega dei Socialisti Emilia Romagna)
















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