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Carceri: il Garante visita la casa di reclusione di Castelfranco Emilia

In un Paese dove un metro quadrato in più o in meno fa la differenza quando si parla di condizioni di vita dei detenuti c’è invece una struttura, in provincia di Modena, dove spazi immensi e pronti all’uso vengono abbandonati a loro stessi: è la casa di reclusione San Giovanni di Castelfranco dell’Emilia, che ha ricevuto venerdì pomeriggio la visita della Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative delle libertà personali, Desi Bruno.

La struttura ospita al momento in una sezione 43 internati sottoposti a misure di sicurezza, nell’altra 17 detenuti con problemi di tossicodipendenza in custodia attenuata, nonostante una capienza praticamente doppia, pari a 33 persone. Non è l’unica delle contraddizioni di una realtà che per alcuni aspetti potrebbe indicare un modello a livello nazionale, e il Garante cita a proposito proprio le condizioni dei detenuti in custodia attenuata, ma che per altri “rappresenta il fallimento del sistema”, come ammette lo stesso direttore della casa di reclusione di fronte alla situazione delle diverse persone in condizione di forte disagio sociale che sono internate praticamente a tempo indeterminato ma senza alcuna programmazione. Se infatti, ad esempio, “si vedono finalmente internati e detenuti che mangiano in un refettorio e non in cella”, racconta Bruno, poi però gli internati con problemi psichiatrici possono contare sull’aiuto di una sola operatrice, che nel futuro sarà affiancata al massimo da un’altra persona, nonostante le continue richieste e lamentele della direzione, e comunque non a tempo pieno.

A stupire, e non di certo in positivo, la Garante sono state in particolare le potenzialità non espresse dalla casa di reclusione: ci sono infatti “strutture di lavoro importanti”, spiega Bruno, ma ad esempio la lavanderia, che al momento occupa a tempo pieno sei persone in custodia attenuata e lavora per cinque carceri in regione e anche per due realtà esterne, viene sfruttata solo per metà delle sue possibilità, e due enormi officine meccaniche, con tanto di forno di verniciatura, giacciono completamente inutilizzate. E se “definire sottoutilizzata l’azienda agricola è dire poco” a causa delle decine di ettari di terreno non curati, assicura sempre la Garante, la vicenda più inspiegabile rimane quella dell’area pedagogica: all’interno degli oltre 2.000 metri quadrati di fabbricato si trovano infatti già pronti una biblioteca, laboratori, aule per le lezioni, in pratica “una struttura che potrebbe tranquillamente ospitare una università”, semplifica Bruno, ma si tratta di spazi quasi completamente inutilizzati.

Per questo motivo Bruno chiede l’intervento del nuovo capo di dipartimento, con l’auspicio che “possa andare a verificare di persona le potenzialità di aree tali da costituire una struttura a misura d’uomo e di diritti costituzionali”: secondo la Garante, infatti, San Giovanni potrebbe essere “un progetto sperimentale che permetta davvero ai detenuti di lavorare”, ad esempio “un istituto per dimittendi che ospiti 200 persone”. Per portare l’attenzione sulla struttura, l’idea di Bruno è allora quella di organizzare proprio a San Giovanni dopo l’estate un convegno sulle condizioni dei detenuti in Italia.
















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